La mossa arriva dopo una settimana di gelo, seguita al naufragio che ha provocato 70 morti, con alti prelati che hanno parlato di parole "disumane" da parte di esponenti dell'esecutivo e di una tragedia "naturale conseguenza" delle politiche italiane ed europee. La premier 'salta' sulle frasi di Bergoglio ma dimentica anni di moniti sull'accoglienza
L’applauso della premier Giorgia Meloni per Papa Francesco è solo a metà. All’Angelus il Pontefice ha pregato per le vittime della tragedia di Cutro, in Calabria, ma la presidente del Consiglio plaude solo alla parte che condivide. “Esprimo il mio dolore – ha affermato Bergoglio – per la tragedia avvenuta nelle acque di Cutro, presso Crotone. Prego per le numerose vittime del naufragio, per i loro familiari e per quanti sono sopravvissuti. Manifesto il mio apprezzamento e la mia gratitudine alla popolazione locale e alle istituzioni per la solidarietà e l’accoglienza verso questi nostri fratelli e sorelle e rinnovo a tutti il mio appello affinché non si ripetano simili tragedie. I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti! Che il Signore ci dia la forza di capire e di piangere”.
Gli insegnamenti di Francesco su questo tema sono sempre stati chiarissimi: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”. Nel suo ultimo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, intitolato Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati, il Papa chiede che “siano eliminate le disuguaglianze e le discriminazioni del mondo presente. Nessuno dev’essere escluso”. Bergoglio ricorda che il progetto di Gesù “è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e rifugiati, sfollati e vittime della tratta. La costruzione del Regno di Dio è con loro, perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole. L’inclusione delle persone più vulnerabili è condizione necessaria per ottenervi piena cittadinanza. Dice infatti il Signore: ‘Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi’. Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione. Mi piace cogliere questo approccio al fenomeno migratorio in una visione profetica di Isaia, nella quale gli stranieri non figurano come invasori e distruttori, ma come lavoratori volenterosi che ricostruiscono le mura della nuova Gerusalemme, la Gerusalemme aperta a tutte le genti”.
Francesco, inoltre, sottolinea che “nella medesima profezia l’arrivo degli stranieri è presentato come fonte di arricchimento: ‘Le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli’. In effetti, la storia ci insegna che il contributo dei migranti e dei rifugiati è stato fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre società. E lo è anche oggi. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad esprimersi, se solo gliene viene offerta la possibilità. Gli abitanti della nuova Gerusalemme – profetizza ancora Isaia – mantengono sempre spalancate le porte della città, perché possano entrare i forestieri con i loro doni: ‘Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte, per lasciar introdurre da te le ricchezze dei popoli’. La presenza di migranti e rifugiati rappresenta una grande sfida ma anche un’opportunità di crescita culturale e spirituale per tutti. Grazie a loro abbiamo la possibilità di conoscere meglio il mondo e la bellezza della sua diversità. Possiamo maturare in umanità e costruire insieme un ‘noi’ più grande. Nella disponibilità reciproca si generano spazi di fecondo confronto tra visioni e tradizioni diverse, che aprono la mente a prospettive nuove. Scopriamo anche la ricchezza contenuta in religioni e spiritualità a noi sconosciute, e questo ci stimola ad approfondire le nostre proprie convinzioni”.
Insegnamenti ribaditi, nei giorni successivi alla tragedia di Cutro, da tutti i più alti esponenti della Conferenza episcopale italiana: dal presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Maria Zuppi, al vicepresidente della Cei per il Sud e vescovo di Cassano all’Jonio, Francesco Savino, dall’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, al presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, oltre che arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Gian Carlo Perego, dal vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi, Giovanni Ricchiuti, fino al direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello.
“Quel che è accaduto a Cutro – ha affermato l’arcivescovo Ricchiuti – è drammatico! Piangiamo e soffriamo con chi sta piangendo e soffrendo a causa del terribile naufragio. Quel che stiamo ascoltando dai governi italiano ed europeo è semplicemente scandaloso! Non possiamo accettare e condividere pensieri e parole disumane e offensive della dignità delle persone”. L’arcivescovo di Palermo ha puntato il dito contro il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha dichiarato che “chi scappa da una guerra non deve affidarsi a scafisti senza scrupoli”, aggiungendo che “la disperazione non giustifica i viaggi che mettono in pericolo i figli”. Per il presule “quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi”. Per Lorefice “il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime”.