In Arabia Saudita, nel corso del 2022, quindici persone sono state condannate a pene da 10 a 45 anni di carcere solo per aver espresso le loro opinioni sui social media. Quella a 45 anni è la più dura condanna mai imposta in Arabia Saudita per l’espressione online delle opinioni: è stata inflitta a Noura al-Qahtani, 50 anni, madre di due figli. Qualora dovesse essere ancora viva, a fine pena avrà un divieto di viaggio della durata analoga alla pena: non potrà lasciare l’Arabia Saudita fino al compimento di 140 anni.

Una condanna poco più lieve l’ha presa Salma al-Shebab, dottoranda all’università di Leeds, nel Regno Unito: 34 anni per aver twittato a sostegno delle attiviste per i diritti delle donne. La condanna a 15 anni di Mahdia al-Marzougui, infermiera tunisina, ha dell’incredibile: è stata incriminata per aver pubblicato dei tweet sulle vicende del suo paese. Al termine della pena sarà espulsa.

Tutte le condanne sono state emesse dal Tribunale penale speciale: originariamente avrebbe dovuto occuparsi di reati di terrorismo, ma la sua giurisdizione si è ampliata, nel corso degli anni, di pari passo con l’applicazione delle norme anti terrorismo nei confronti di semplici utenti di Twitter, “colpevoli” di aver pubblicato contenuti riguardanti i diritti umani. Va sottolineato che, nei confronti di al-Qahtani, al-Shebab e al-Marzougui, in appello le condanne sono state aumentate, rispettivamente, da 13 a 45 anni, da sei a 34 anni e da tre anni e mezzo a 15.

Il motivo? A presiedere il Tribunale è, dal giugno scorso, un signore che faceva parte della delegazione inviata a Istanbul nell’ottobre 2018 per insabbiare le prove dell’assassinio e dello smembramento del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi presso il consolato saudita della città turca. Se questa nomina spiega l’inasprimento delle pene, un’altra vicenda fa capire com’è partita la caccia alle streghe su Twitter.

A dicembre un tribunale statunitense ha condannato un ex dirigente di Twitter, Ahmad Abouammo, per spionaggio in favore dell’Arabia Saudita. Secondo il verdetto, Abouammo ha ottenuto l’accesso a informazioni sensibili idonee a identificare e localizzare utenti di Twitter a vantaggio della famiglia reale saudita. Abouammo ha fornito alle autorità saudite i nomi degli utenti di Twitter che pubblicavano contenuti critici o imbarazzanti nei loro confronti. Nel verdetto del tribunale statunitense si legge anche che un funzionario del governo saudita aveva chiesto ad Abouammo di rimuovere un account che produceva post critici nei confronti della famiglia reale e di fornirgli tutti i dati dell’utente.

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