Ci sono questioni brucianti che suscitano proteste anche di piazza e questioni di fondo che rischiano di passare inosservate perché appaiono più lontane e complesse. Ma la difesa del clima e la transizione energetica non sono il problema numero uno di questo secolo? L’Italia sta bloccando la transizione nel campo, molto importante, delle automobili. Si tratta del regolamento europeo che prevede – prevedrebbe – la fine della produzione e vendita di veicoli a combustione (endotermica) nel 2035. Duemilatrentacinque.

In questi casi il giornalista deve tener conto delle procedure adottate e sentire cosa dicono quelli che se ne intendono più. La elaborazione del regolamento europeo è stata complessa e ponderata, molto più di quelle sugli imballaggi, per intenderci, perché investe settori fondamentali dell’economia e della produzione. Non credo proprio che si possa liquidare come posizione “ideologica” presa superficialmente sulla spinta dell’ambientalismo. Caso mai sembra “ideologica” (difensiva) l’idea del presidente di Anfia, i produttori del settore auto in Italia, di accompagnare la produzione e la vendita delle auto con la piantumazione di nuovi alberi. Comunque i difensori dell’auto tradizionale sono consapevoli di non poter più difendere il petrolio e quindi puntano tutto sui cosiddetti “biocarburanti”. Il motore resterebbe a scoppio, il carburante bio.

Ecco il commento di Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace: “La lobby dell’auto a combustione interna riesce a far rinviare una misura nel tentativo di sopravvivere grazie ai biocarburanti e alla (futura) benzina sintetica da idrogeno verde. Ma entrambe queste soluzioni sono tutt’altro che ‘neutre’: la benzina di sintesi, quando ci sarà, a parità di km richiederebbe oltre il triplo di elettricità rinnovabile primaria rispetto all’auto elettrica. La possibilità di produrre biocarburanti ambientalmente sostenibili – e non in competizione con la produzione alimentare – è assai limitata. Il rinvio in realtà serve a mantenere il mercato attuale. Che è una delle cause della crisi climatica“. Vedo sui social e sui giornali che lo schieramento contro il regolamento europeo va al di là dello schieramento del governo italiano, va al di là della destra. (Infatti in Germania è rappresentato dai liberali, che pure fanno parte della coalizione di centrosinistra coi Verdi).

Ci sono anche varie argomentazioni di tipo “popolare”, come quella che le auto elettriche comunque costeranno di più discriminando i cittadini Ue più poveri, e quella che nuoceranno ai paesi del Terzo Mondo dove si estrae il litio necessario per le batterie. Ma sono discorsi per così dire collaterali. Meno secondaria è l’argomentazione anti-cinese, secondo la quale, dato che i cinesi sono più avanti nella produzione di batterie, lo saranno sempre. (Dato che ormai siamo una minoranza nel mondo perché sentirci in colpa se emettiamo CO2 con le auto? sempre meno dei cinesi – ho letto anche cose del genere).

Ma il cuore e il traino della questione è la spinta conservatrice del blocco industriale-politico e culturale dell’automobile fossile. Che ha deciso di adottare la esile produzione di biocarburanti per sopravvivere. Bisognerà probabilmente discutere e chiarificare molto per capirsi con l’opinione pubblica. Infine c’è anche il rischio che paradossalmente, a livello di opinione, anche i nemici dell’autodipendenza, cioè quelli che contestano l’automobile in quanto tale, contribuiscano ad affossare il regolamento europeo. A scanso di equivoci: passare all’auto elettrica non significa che il numero di auto per abitante debba rimanere così alto come adesso, soprattutto in Italia. Ma è un’altra questione. Anzi: la necessità di usare solo veicoli a emissioni zero spinge a un ripensamento di tutta la mobilità in senso sostenibile.

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