Appena annunciati i Btp Italia 2023-28 2% (min.), sottoscrivibili dal 6 marzo, il risparmio gestito ha sguinzagliato i suoi cani da guardia per sconsigliarli ai risparmiatori. Ogni falsità, percentuale taroccata e ogni argomentazione capziosa è buona per denigrarli. Non sia mai che molti si spostino sui titoli di Stato, magari disinvestendo prodotti crollati nel 2022, e sfuggano alle gravose commissioni, ai pesanti caricamenti e alle spese spropositate di fondi e polizze.

Mica sono perfetti i titoli reali, cioè agganciati al costo della vita. In particolare presentano meccanismi alquanto complicati. Ma investire in Btp Italia, i Btp-i, le Oat-ei ecc. è una scelta prudente, anche senza capire perfettamente come funzionano. Un breve video, tratto da un webinar dell’Università di Torino, offre alcuni approfondimenti. E chi vuole, può cimentarsi con un quiz.

Ma torniamo alla campagna di disinformazione contro i Btp Italia. Per cominciare, hanno riesumato la storiella che pagheranno solo l’interesse minimo, se l’inflazione scende. Frottole! I Btp Italia corrispondono tutta l’inflazione dall’emissione al rimborso, comunque essa si muova.

Banche e Poste avvertono poi amorevolmente i clienti che essa sta scendendo e quindi tali titoli potrebbero non convenire. Ma quello che conta è il rendimento reale, non quello nominale. Ed esso varia poco al crescere o calare dell’inflazione. Anzi, in caso di discesa aumenta un po’ per motivi fiscali; e cresce se l’inflazione torna negativa.

Con un taglio diverso, ma molto gradita al risparmio gestito e a Confindustria, è la tesi che siano meglio le azioni per tutelare il poter d’acquisto. Vedi cosa scrive il giornalista Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera. Prendendo a riferimento la copertura non perfetta dell’inflazione di un titolo, sconsiglia ai lettori di sottoscrivere i Btp Italia. “Se il risparmiatore, negli stessi otto [ultimi] anni, avesse investito sull’indice azionario globale (Msci World), al contrario si sarebbe largamente difeso dall’aumento dei prezzi” (L’Economia, 27-2-2023 p. 3). Ma sette degli ultimi otto anni sono stati di inflazione bassa o negativa. Che le Borse siano salite non significa nulla, per chi vuole una difesa dalle impennate dei prezzi.

Ragionando correttamente su periodi di alta inflazione, si ottengono indicazioni opposte. In particolare la perdita del 65% reale per la Borsa italiana nel decennio 1974-1983 (indice Mediobanca total return) o del 57% per le azioni americane per gli anni 1972-1983 (indice Dow Jones t.r.).

De Bortoli consiglia anche i Cct e di nuovo i dati lo smentiscono. A dicembre scorso la cedola in pagamento dei Btp Italia è stata del 7,23% annuo, quella dei Cct del 1,53%, a riprova che contro l’inflazione i Btp indicizzati funzionano, i Cct no.

Conclusione: per difendere i risparmi dal carovita meglio stare alla larga dalle azioni, evitare Cct e simili e aggrapparsi a titoli quali i Btp, le Oat, i Bund ecc. indicizzati. Spulciando il listino se ne trovano anche preferibili ai nuovi Btp Italia, ma sono differenze di ordine secondario.

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