L'allora numero 1 di Confindustria Lombardia è stato sentito come teste nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione del Covid in Val Seriana a marzo 2020. Incalzato dagli inquirenti, ha confermato che chiese al presidente della Regione di non fermare le attività produttive e ha aggiunto: "Era d’accordo con noi". Eppure il governatore ha fornito una versione opposta: "Non ho ricevuto pressioni. Noi credevamo nella zona rossa"
Prima disse “non ricordo”, poi incalzato dai pm Marco Bonometti ammise di aver avanzato al governatore lombardo Attilio Fontana la “richiesta” di non istituire la zona rossa nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, diventati nel frattempo il principale focolaio di coronavirus. Dai verbali dell’inchiesta sulla gestione del Covid in Val Seriana a marzo 2020, emerge nero su bianco il “no” degli industriali a una possibile chiusura per arginare i contagi, misura all’epoca già in vigore a Codogno. Bonometti, all’epoca presidente di Confindustria Lombardia, è stato convocato come teste negli uffici della Procura di Bergamo nel giugno di tre anni fa: gli inquirenti volevano accertare le eventuali pressioni degli industriali sulla politica perché non si facesse la zona rossa. Pressioni che emergono anche dalle chat tra lo stesso Bonometti e l’allora assessore al Welfare di Regione Lombardia, Giulio Gallera, come rivelato da ilfattoquotidiano.it.
“Non penso di aver parlato con il Presidente Fontana (…) Non ricordo di aver parlato con il presidente Fontana di zona rossa”. Fu questa la prima risposta dell’ex presidente di Confindustria Lombardia agli inquirenti. Salvo, poi, incalzato da altre domande, dover chiarire: “Sì glielo ho chiesto”, ha messo a verbale l’industriale bresciano, numero uno delle Officine Meccaniche Rezzatesi, aggiungendo che “Regione Lombardia era d’accordo con noi nel non istituire le zone rosse, ma nel limitare le chiusure alle sole aziende non essenziali”. Una versione che, tra l’altro, non coincide con quella resa ai pm proprio da Fontana. E anche su questo fronte del pressing del mondo economico-produttivo contro le chiusure, i racconti dei protagonisti non sono, infatti, mai esattamente sovrapponibili, come su altri aspetti dell’inchiesta. Fu proprio Bonometti in un’intervista-colloquio col Fatto Quotidiano, anni fa, a rivelare come “Regione Lombardia è sempre stata con noi sul alla zona rossa a a Nembro e Alzano”. E i messaggi di Gallera all’industriale bresciano sembrano confermare questa versione: “Adesso specifichiamo la libera circolazione delle merci e speriamo di essere ascoltati”, lo tranquillizzava il 7 marzo 2020, ovvero due giorni prima del Dpcm che chiuderà il Paese senza però fermare le attività produttive.
“Effettivamente ricordo che del tema della istituzione della zona rossa in Alzano e Nembro se ne è parlato dopo il caso di Codogno nelle riunioni per il Patto di Sviluppo”, ha spiegato Bonometti ai magistrati, precisando quale fosse in quei giorni drammatici la sua posizione: “La zona rossa nella bergamasca non risolveva il problema, perché a mio parere andava chiusa l’intera Lombardia. Ero contrario all’istituzione della zona rossa (…) Ho detto di salvaguardare le filiere per le aziende essenziali (…) ho sempre cercato di salvaguardare le aziende lombarde”. Anche perché “tutti gli imprenditori erano molto preoccupati” e quindi “abbiamo cercato – ha aggiunto – di limitare al minimo le attività produttive da ritenersi essenziali”.
Intanto a fine maggio 2020, quindi qualche giorno prima delle frasi messe a verbale da Bonometti, il governatore Fontana, passato poi da teste a indagato assieme ad altri 18, tra cui pure Giuseppe Conte e Roberto Speranza, aveva già dato una risposta perentoria ai pm: “Per questa faccenda non ho ricevuto pressioni (…) sulla zona rossa di Alzano e Nembro non ho mai parlato con nessun rappresentante di Confindustria e non mi sono state rappresentate le loro esigenze“. E il leghista ha confermato che la linea della Regione ai primi di marzo era chiara: “Noi credevamo nella realizzazione della zona rossa. La nostra non era una scelta politica, ma tecnica“. Tuttavia, le preoccupazioni del mondo produttivo si manifestavano eccome, come emerge pure dalla deposizione di Pierino Persico, patron dell’omonimo gruppo di Nembro, che vanta anche la realizzazione di Luna Rossa. Ha chiarito di non aver “esercitato alcuna pressione per non fare istituire la zona rossa”, ma di aver “semplicemente espresso le mie preoccupazioni, atteso che se non consegnavo i materiali sarei stato soggetto a danni milionari” e ci sarebbero state conseguenze “negative sui livelli occupazionali“.
“Se fermiamo tutto siamo rovinati almeno le aziende che sono fuori dal centro teniamole vive”, scriveva Persico poco prima della mezzanotte del 3 marzo 2020 in un messaggio all’allora deputato del Pd Maurizio Martina. Persico che, tra l’altro, ha detto agli inquirenti di averne discusso anche con Bonometti, il quale, però, ha ricordato che gli fece riferimento solo a “preoccupazioni circa la produzione di qualcosa per la Jaguar“. Anche Camillo Bertocchi, primo cittadino di Alzano, non si è mai sentito “pressato” dagli imprenditori: “Come sindaco non ho mai chiesto espressamente la zona rossa – ha chiarito – ma a partire dal 3 marzo 2020 la davamo per fatta”. Dal canto suo, infine, Claudio Cancelli, sindaco di Nembro, la vedeva così: “La mia posizione era quella – ha spiegato ai pm – di accettazione di eventuali decisioni da parte di Enti differenti (Regione o Governo), pur nella consapevolezza degli impatti sulla produzione aziendale della Val Seriana”.