Sicuramente non sono il più adatto a parlare di Piero Gilardi, artista di fama internazionale morto ieri a Torino, dove abitava. Non sono il più adatto perché non lo conoscevo così bene. Il primo a parlarmene fu qualche anno addietro Enrico Bonanate, il direttore del Parco Arte Vivente di Torino (Pav), il quale mi raccontò la storia di questo giardino alla cui realizzazione contribuirono artisti e architetti famosi come Gilles Clement.

In breve la storia. Qui, in Via Giordano Bruno (a Torino) sorgeva fino agli anni 90 lo stabilimento della Framtek, società di proprietà della Fiat che produceva componenti per auto, stabilimento demolito nel 2003. Il Comune ci avrebbe realizzato i soliti edifici (a Torino non hanno molta fantasia gli amministratori: o sono alloggi o sono supermercati), ma Piero Gilardi in primis si batté affinché in quest’area venisse realizzato quel giardino che poi è diventato il Pav, a servizio della popolazione.

Fu dopo questa intervista che mi sovvenne che era Gilardi quello che portava nelle manifestazioni No Tav l’orso e altre realizzazioni in gommapiuma, il suo materiale preferito. Lo andai a trovare nella sua casa laboratorio, un angolo appartato sulle rive del Po, e trovai una persona squisita lontana anni luce da quello che ti potresti attendere da un artista famoso a livello mondiale. Una persona minuta, timida, riservata, di poche parole, ma ricche di significato.

Ci sentimmo e vedemmo altre volte, mi feci anche fare una piccola opera, perché mi piacevano molto le sue realizzazioni. Poi ci perdemmo e solo di recente ebbi notizia di lui dal suo più caro amico, l’altro artista Pietro Perotti, che intervistai sulla Torino manifatturiera che fu. E lui mi raccontò oltre che le battaglie sociali che fece a favore dei lavoratori con Gilardi, anche che lui non stava bene.

Non lavorava più e non usciva più di casa. Poi ho saputo della morte e il primo pensiero che mi è passato per la mente è che gli artisti dovrebbero, soprattutto in questi tempi bui, combattere nel sociale, mettere la loro arte al servizio di una causa comune, come lui fece sempre. Gilardi è proprio un esempio di questo stile di vita. Di lui basti ricordare questa frase: “L’arte deve entrare nella vita, ma dato che la vita è alienata occorre impegnarsi anche a liberare e disalienare la vita.”

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

La ripresa del turismo culturale può avvenire solo se impariamo a salvaguardare i nostri beni

next
Articolo Successivo

La recensione critica del mio saggio? Un attacco ad personam. Che peccato

next