Immaginate di abbandonare per un giorno lo smartphone nel fondo di un cassetto. Riuscite a sentirlo il dolce silenzio dell’irreperibilità (che fa rima con libertà)? Niente più like, post, tweet, retweet, via pure le chat WhatsApp, si salvano solo le mail consultabili dal pc. La cosa vi piace. Immaginate allora, rovistando in qualche altro casetto, di rispolverare il buon vecchio telefono a conchiglia. Così avreste indietro messaggi e telefonate senza ripiombare nella trappola della (a)socialità di Mark Zuckerberg. Impossibile dite. Eppure c’è qualcuno che l’ha fatto, ed è chi meno te l’aspetti.
Direttamente dalla generazione z, la liceale diciassettenne di New York, Logan Lane potrebbe essere il prototipo dell’adolescente media: tutta stories e TikTok. Se non fosse che, passata la pandemia, insieme a un gruppetto di suoi coetanei ha deciso di fondare il Luddite Club (il club dei luddisti 2.0), un movimento ora diffusosi nelle scuole che ha fatto del detox permanente dai social media uno stile di vita. Questi eredi di Ned Ludd, l’operaio inglese che nel 1799 se la prese con un telaio (solo perché il telefono ancora non c’era), da mesi ormai si danno appuntamento tutte le domeniche nel parco pubblico di Brooklyn. Lì trascorrono insieme la giornata, di sole o di pioggia che sia, tra chiacchiere, musica e libri.
Dire addio allo smartphone per ritrovare la pace dei sensi può sembrare una scelta estrema, ma incarna il desiderio di molti. Secondo alcuni sondaggi, come quello del Pew Research Center, la maggioranza degli americani ritiene i social dannosi per la salute mentale: abbasserebbero l’autostima alterando l’immagine di sé. Non a caso siamo in pieno fenomeno BeReal, il social anti-social dove non esistono filtri, like o follower e una notifica random avvisa gli utenti quando “it’s time to BeReal”. A quel punto parte il countdown di due minuti per scattare una foto usando sia la fotocamera anteriore che quella posteriore così da essere più autentici. Già, come se bastassero una manciata di secondi di “verità” per disinnescare la pressione sociale che genera il vivere iperconnessi. Pressione che i luddisti di oggi conoscono fin troppo bene unita ad ansie e fragilità di una generazione sempre online. Per questo quel cassetto lo tengono sottochiave.