Calcio

José Mourinho, il profeta dell’anticalcio: la sua Roma gioca sempre peggio ma i risultati gli danno ragione

La sua Roma è sempre più brutta, a tratti ai limiti dell’osceno. Però il campo e la classifica gli danno ragione. In questo senso il match dell’Olimpico, più che una partita, è stata quasi un manifesto programmatico. La domanda è se tutto questo può far dimenticare novanta minuti di noia. La risposta è sì, almeno a vedere le reazioni dei tifosi, obnubilati dal loro mentore

Schierare una formazione senza mezzo attaccante e undici uomini dietro la linea della palla, realizzare una statistica di expected goal che oscilla tra 0,3 e 0,6 a seconda dei siti di analisi, chiudere il match con zero occasioni create, e riuscire a sfangarla comunque con un tiraccio estemporaneo da trenta metri di un difensore centrale. Roma-Juventus, partita a metà tra il capolavoro tattico e lo scempio calcistico, è l’ennesimo miracolo del profeta dell’anticalcio, José Mourinho.

Bisogna partire da due dati di fatto oggettivi, che né una parte né l’altra, fan e haters, risultatisti e giochisti, potranno contestare. La sua Roma è sempre più brutta, a tratti ai limiti dell’osceno. Però il campo e la classifica gli danno ragione. In questo senso il match dell’Olimpico, più che una partita, è stata quasi un manifesto programmatico: 90 minuti senza ritmo, poca intensità, nessuna idea, scarsa pure la qualità visto che il livello delle due squadre e un po’ di tutta la Serie A ormai è quello che è. Solo calcioni, prudenza, lanci lunghi, schemi scolastici. Uno spettacolo desolante, grazie anche al fatto che dall’altro lato ci fosse mister “corto muso” Allegri. Alla fine ha vinto la Roma ma il risultato avrebbe anche potuto – e anzi, forse dovuto, viste le occasioni – essere diverso.

Mou ha portato a casa una gara tanto importante quanto brutta. E lo ha fatto alla sua maniera. Rinunciando dichiaratamente agli attaccanti, che ormai utilizza come giocatori difensivi, per tenere palla e difendere il punteggio, non per sbloccarlo. Pensando prima a non prenderle, e poi eventualmente a darle, affidandosi solo alle giocate, calci piazzati e contropiedi. Come giocava in fondo venti anni fa al Porto, 15 anni fa all’Inter e dieci al Real Madrid, solo che questa Roma non ha e non potrà mai avere le individualità di quelle grandi squadre, e intanto il calcio è cambiato, si è evoluto. Mentre Mou è sempre il solito, nel bene e nel male.

La classifica parla per lui. La Roma sta facendo un ottimo campionato: è in piena corsa per la Champions, ha gli stessi punti del Milan campione d’Italia, vicina all’Inter che ha una rosa enormemente più competitiva. Come si fa a criticarlo. Sta venendo a capo di una stagione non facile, benedetta in estate dal grande acquisto di Dybala, ma segnata anche negativamente dall’infortunio di Wijnaldum, l’addio dello sciagurato Zaniolo, le bizze di Karsdorp, le paturnie sottoporta di Abraham. Certo, si potrebbe dire anche che il caso Karsdorp se l’è creato praticamente da solo, che la partenza burrascosa del talento azzurro è frutto (oltre che dei limiti caratteriali) anche di una gestione tecnica non irreprensibile, che probabilmente Abraham è passato da bomber del futuro della Nazionale inglese a brutto anatroccolo perché gioca in una squadra che non aiuta gli attaccanti, ma la sostanza non cambia. Mou è il numero uno nel compattare l’ambiente, per altro in una piazza quasi impossibile da gestire come Roma. Non un fischio, non un mugugno, tutti dalla sua parte in campo e sugli spalti. E chi non lo è diventa nemico del popolo.

La domanda è se tutto questo può far dimenticare novanta minuti di noia. La risposta è sì, almeno a vedere le reazioni dei tifosi, obnubilati dal loro mentore. Ma in realtà dipende solo dal risultato. Arrivato con una presentazione in pompa magna e un mercato faraonico, l’anno scorso Mourinho si è salvato in corner conquistando la Conference League, che ha mascherato sotto l’entusiasmo di una storica coppetta europea le lacune di una stagione mediocre. Giocando così male, il risultato diventa l’unico confine tra il successo e il fallimento. Quest’anno il paracadute poteva essere la Coppa Italia, grazie anche a un sorteggio favorevole e un’autostrada spianata verso la finale, ma l’harakiri in casa con la Cremonese ha tolto questa opzione. Resta l’Europa League, che sarebbe una vera impresa (ci sono squadre più attrezzate, come Arsenal e Manchester United, o la stessa Juventus). Oppure il quarto posto, obiettivo minimo e massimo di questa squadra: mancare per il secondo anno la qualificazione in Champions che alla Roma dei Friedkin è indispensabile per salire di livello smaschererebbe il bluff di Mou. Anche perché sull’altra sponda della Capitale, con una rosa meno competitiva e un gioco più divertente, la Lazio del tanto criticato Sarri ha comunque un punto in più dei giallorossi. Ma Mou è lo Special one. Perché vince. Finché vince.

Twitter: @lVendemiale