Il governo non abolirà il Reddito di cittadinanza come aveva promesso in campagna elettorale il partito della premier Giorgia Meloni. Ma se vuole salvare la faccia davanti agli elettori, la riforma che presto potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri dovrà ridurre l’esborso per lo Stato. Che significa tagliare la platea dei percettori o ridurre tempi e misura del sussidio. La ‘Misura di Inclusione Attiva‘ (MIA) che da settembre prenderà il posto del Rdc potrebbe fare entrambe le cose. Secondo le anticipazioni della stampa, infatti, verranno dati meno soldi a meno persone e per un tempo inferiore. “Il messaggio si manda ai poveri perché arrivi ai lavoratori, usando i primi come deterrente per le rivendicazioni degli altri, perché le abbassino”, ragiona Enrica Morlicchio, docente di sociologia economica alla Federico II di Napoli impegnata nello studio della povertà e delle diseguaglianze. Sull’obiettivo del governo non ha dubbi: “Vogliono liberare manodopera a basso costo”. Ed è altrettanto certa che queste scelte avranno conseguenze: “Al Sud la reazione potrebbe anche sfuggire di mano”.
“Nell’Inghilterra del 1834 la legge di riforma dell’Assistenza ai poveri stabilì che il livello di assistenza doveva essere fissato in modo da rendere preferibile una qualunque occupazione al sussidio: segnò il punto più alto della ricattabilità dei poveri e della mercificazione della forza lavoro”, racconta la sociologa, persuasa che “si stia correndo nella stessa direzione”. Una delle ipotesi sulla nuova misura del governo è una soglia Isee che dagli attuali 9.360 euro scende a 7.200: per fare domanda bisognerà essere più poveri. Questo dovrebbe bastare a escludere fino a un terzo della platea dei beneficiari del Rdc. Inoltre, i nuclei senza minori, over 60 o disabili e quindi occupabili, prenderanno 375 euro al mese invece di 500 e per un massimo di 12 mesi anziché 18, mentre il rinnovo non supererà i 6 e passerà fino a un anno e mezzo tra il secondo rinnovo e il terzo. “Siamo all’assistenza a singhiozzo, una cosa mai vista”, commenta Morlicchio.
“Sembrava avessimo raggiunto il limite e che il Reddito servisse proprio a sottrarre le persone al ricatto di proposte di lavoro che privano i lavoratori della dignità. Invece ricominciamo a muoverci verso offerte disumane“, spiega. “E del resto andiamo a ributtare in quel mercato del lavoro le stesse persone che da esso provengono, in un circolo vizioso dal quale non vogliamo si affranchino”. E se da un lato apprezza che si possa guadagnare fino a 3.000 di reddito da lavoro senza perdere il sussidio, ricorda che questa possibilità viene data a persone che riceveranno un sussidio più basso, di 375 euro anziché 500. “Ma così non si esce dalla povertà. Si passa semplicemente dall’essere poveri disoccupati a poveri con un lavoro“, continua, ricordando che nella platea del Rdc sono tante le persone che hanno già un’occupazione, anche a tempo indeterminato. “Chi sostiene questo tipo di scelte è convinto che alla gente piaccia vivere di un misero sussidio e quindi avvalla un atteggiamento punitivo, fino all’alternanza tra carota e bastone, come nell’ipotesi del dacalage per i rinnovi”.
“Va detto però che alla Meloni è stato consentito di fare gol a porta vuota, con una campagna diffamatoria che prosegue da tempo e alla quale in troppi hanno preso parte, che squalifica i poveri e pretende di moralizzarli “. E questo in un paese dove “l’ultimo piano per l’occupazione giovanile risale al 1977 e ne manca uno per quella femminile”. Ma soprattutto, “il Reddito ha permesso a molte famiglie di non risparmiare sulle cure mediche e a tanti di riprendere gli studi, comprese alcuni miei studenti: ricordo quanti in passato hanno dovuto dirmi che mollavano perché i soldi servivano in famiglia”. Al contrario, tagliando sulle risorse e sulla platea, “queste persone torneranno ad essere ricattabili, il tutto con un utilizzo improprio del termine occupabile, che nel resto d’Europa ha a che fare con le credenziali che un soggetto può giocarsi sul mercato nel passaggio tra un impiego e l’altro. Mentre da noi sembra ormai ridotto a un dato anagrafico o peggio, alla proprietà di due braccia“.
E domanda: “Qual è il livello di accettabilità al quale dobbiamo scendere visto che già esistono contratti al di sotto della soglia di povertà?”. E poi: “Mentre negli altri Paesi europei si sperimenta la settimana lavorativa di 4 giorni, qui ancora cerchiamo persone da far lavorare lontano da casa, con tempi e condizioni incompatibili con la vita privata: temo un ulteriore arretramento civile del lavoro, e la cosa è strettamente connessa con le scelte che riguardano la povertà”. In che senso? “Con una riforma simile si manda un messaggio ai lavoratori: abbassate le richieste, limitate le vostre rivendicazioni. Non averlo colto è un grande errore della sinistra progressista italiana”. Quanto alle conseguenze, avverte la scienziata, “se le persone percepiscono che non hanno più nulla da perdere ci può essere una reazione, soprattutto al Sud dove è impensabile che non ci sia una reazione”. E aggiunge: “Vivo in provincia di Napoli e sto molto tra la gente: la cosa sta mettendo la Meloni in cattiva luce e la rabbia sale”. Peggio: “Se la protesta non troverà uno sbocco democratico potremmo trovarci di fronte a rivolte fuori controllo dove la criminalità si riprende anche ciò che il Rdc le aveva tolto”