Anna Magnani avrebbe, oggi, 7 marzo 2023, 115 anni. Impossibile pensarlo. Nella mia mente (e, certamente anche in quella di coloro che l’hanno amata) è impresso il ricordo della scena iconica della Pina di Roma città aperta di Rossellini, mentre lei corre verso il promesso sposo portato via su un camioncino dai nazisti urlando “Francesco! Francesco!” e viene falcidiata a colpi di mitra sotto gli occhi del figlioletto e del prete Aldo Fabrizi.

In definitiva, spesso si finisce per rifiutare l’invecchiamento o peggio la morte dei personaggi che amiamo, il che vale per la Magnani come per tanti altri: da Mina, che compirà fra pochi giorni 83 anni mentre nella mia mente è sempre la Mina che canta Amor mio in minigonna, trionfante nella sua bellezza, durante i concerti dei primi anni 70, a Bob Dylan che ne avrà 82 il 24 maggio prossimo, pur restando, nel mio immaginario, il ragazzino introverso che, nel ’63, con l’armonica sul rack, suonava con la sua Martin D-28 Blow in The Wind, fino a centinaia di mostri sacri per i quali rifiuto, forse con una certa dose di immaturità, l’iconografia del trascorrere degli anni.

Patrizia Carrano, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice, è oggi una delle maggiori ’magnanologhe’ italiane avendo scritto, a partire dal 1971, sulla Magnani. L’ultima sua fatica, Tutto su Anna, è appena uscita per Vallecchi. Una prefazione di Federico Fellini, già pubblicata in un suo precedente libro, è mantenuta anche in questo (e come ci si potrebbe privare di cotanto intervento?). Solo in un’occasione, la Carrano conobbe personalmente Nannarella (così ribbattezzata per via della romanissima Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna di Trilussa). Fu in una pizzeria milanese. Gliela presentò Nanny Loy, allora compagno della Carrano. Fu Anna a invitare la coppia al suo tavolo. Con il suo consueto linguaggio diretto la Magnani partì in resta, rivolgendosi a Loy: “Brutto stronzo, quand’è che ti decidi a fare un film bello come questo”, ovvero Detenuto in attesa di giudizio con Sordi, che l’attrice aveva appena visto, “e a farne uno tutto per me?”. Era il 27 ottobre 1971 e, meno di due anni dopo, il 26 settembre 1973 la Magnani moriva alla Mater Dei di Roma, malata da molti mesi. Aveva 65 anni: il suo ultimo film è stato Correva l’anno di grazia 1870, di Alfredo Giannetti, a fianco di Mastroianni uno dei tanti attori accanto ai quali recitò: da De Sica a Totò a Sordi (che se era innamorato), a Nazzari, Girotti, Brazzi, Chiari, Vallone e, fra gli stranieri, Bourville, Lancaster, Brando, Quinn, Franciosa (con il quale ebbe una liason) e tanti altri.

Alla scuola di recitazione, Silvio D’Amico l’aveva definita uno “sgorbietto”, ma “bravissima, un vero talento”. Anna era stata cresciuta dalla nonna (la madre, originariamente una sarta, s’era trasferita in Egitto e con lei, nonostante alcuni incontri, non ebbe mai un rapporto appagante) e il padre era ignoto. Ma riuscì anche a studiare pianoforte e cantava molto bene. “Ho seguito la carriera di attrice perché sentivo il bisogno di essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo mendicato nella vita…”, racconterà la Magnani. E, al contrario, nella vita, forse anche per il suo caratteraccio, le sue esplosioni d’ira, i rapporti con gli uomini la fecero soffrire molto: da quello con il primo marito, il regista Goffredo Alessandrini che la lasciò per l’attrice Regina Bianchi; a uno sfuggente Massimo Serrato, con il quale ebbe un figlio, Luca, che dovette lottare contro la poliomielite (poi divenuto architetto); a Roberto Rossellini che la abbandonò per la Bergman; e via via molti altri, fra cui l’attore Gabriele Tinti che, dopo una breve relazione con la Magnani e un primo matrimonio, divenne il marito di Laura Gemser, la bellissima Emmanuelle giavanese di tanti film di Joe D’Amato.

Iniziò con la rivista, la Magnani, dove l’aveva introdotta l’attore Antonio Gandusio, con il quale aveva un flirt, che la convinse a fare anche cinema. La sua prima apparizione, non accreditata, è in Scampolo (’28), storia di un orfano, un film muto di Augusto Genina. Nell’era del sonoro, La cieca di Sorrento (’34) di Nunzio Malasomma dove prese “quattromila lire di paga”. Nel ’35, a 27 anni (ma lei, come sempre, ne denunziava meno) sposa Alessandrini e da qui nasce la carriera di attrice benestante della Magnani che gira per Roma su una Topolino grigia e tiene nella sua bella casa di via Amba Aradam cani e anche un ghepardo che, pure lui, la lasciò, buttandosi da un balcone. Poi arriva il nuovo amore, il bellissimo Massimo Serato che, però, non viveva con lei: una storia tumultuosa. Infine, incontra Rossellini che la vuole in Roma città aperta (’45), il suo diciannovesimo film (dei 47 al suo attivo) che la consacrerà diva insuperabile del neorealismo.

Raccontava lo sceneggiatore Sergio Amidei alla Carrano che, avendo visto la Magnani inseguire correndo l’auto di Serato che s’era stufato di aspettarla e se n’era andato, consigliò Rossellini di rigirare la nota scena della deportazione del fidanzato di Pina da parte dei nazisti, e far correre l’attrice dietro il camion che portava via il partigiani arrestati. E così fu. Rossellini aveva persino suggerito di farla inciampare in una corda stesa, ma Amidei lo dissuase dal sadico proposito.

L’Oscar, comunque, la Magnani non lo prese per Roma città aperta e neppure per lo splendido Bellissima (’51) di Luchino Visconti, ma nel ’56, per il mediocre La Rosa tatuata di Daniel Mann, accanto a Burt Lancaster, tratto da un lavoro teatrale di Tennessee Williams scritto espressamente per lei, ma che poi venne mutato in film. La celebrità le consentirà di affiancare una star come Marlon Brando in Pelle di serpente (’60), bel film di Sidney Lumet.

L’anno prima della sua morte, il suo amico Fellini che mai la fece recitare in un suo film, la volle per un suggestivo cameo in Roma (’72). La voce del regista fuori campo, mentre la camera inquadra Anna che torna a casa, racconta: “Questa signora che torna a casa costeggiando il muro dell’antico palazzetto patrizio è un’attrice romana, Anna Magnani che potrebbe anche essere un po’ il simbolo della città (…). Una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e stracciona (…) Posso farti una domanda?”, insiste la voce di Fellini. (…) “No, nun me fido… A Federì, va’, va’ a dormì…”. Questa era la Magnani.

Quarantasei anni dopo, il 4 gennaio del 2018, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa Maryl Streep l’ha definita “una dea”.

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