“Nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita” anche perché “la stessa Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sostenuto di recente che né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna“. È quanto ritiene la maggioranza dei componenti del Comitato di bioetica (un organo consultivo del Consigllio dei ministri) nel documento di risposta ai quesiti del ministero della Giustizia presentati il 6 febbraio scorso su come gestire il caso di un paziente in stato di detenzione che rifiuti le cure mediche, riferibile al caso dell’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il regime di 41-bis. Cospito infatti aveva consegnato al suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, una disposizione anticipata di trattamento in cui rifiuta l’alimentazione forzata, inoltrata anche al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
In generale, i membri del Comitato nazionale di bioetica condividono il “rifiuto di adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona” e “ritengono che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della legge 219/2017 (la legge sul biotestamento, ndr) nei confronti della persona detenuta, che, in via generale, può rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat)”. Tuttavia, la maggioranza dei componenti (19 su 33) ritiene che potrebbe essere alimentato in modo artificiale nel caso non fosse più in grado di manifestare la propria volontà. Solo una minoranza (nove componenti) ritiene invece che “non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della legge 219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le Dat e la pianificazione condivisa delle cure”, concludono.