I numeri sulla pandemia non dovevano essere diffusi. Soprattutto se questi contribuivano a diffondere paura tra la popolazione. È il 3 marzo 2020, sono le prime settimane di pandemia e, secondo quanto emerge dalle chat, diffuse dal Corriere, acquisite nell’ambito delle indagini della Procura di Bergamo che ha aperto un’inchiesta sulle responsabilità legate alla prima ondata di coronavirus, è l’allora assessore al Welfare della Regione Lombardia, il leghista Giulio Gallera, a scagliarsi contro la direttrice generale dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, Maria Beatrice Stasi, colpevole, a suo dire, di non aver vigilato sulla diffusione di informazioni troppo allarmistiche. Il ‘casus belli’ è quello di un bambino di appena un anno finito in terapia intensiva: “Un bimbo di un anno in terapia intensiva??? Dare questa notizia è devastante – le scrive dopo la conferenza stampa per fare il punto sull’epidemia – Chi l’ha data??? Vi abbiamo detto allo sfinimento di non dare numeri!!!”. E poi ordina: “Licenzia l’addetta stampa“.

L’assessore è furioso, tanto che la direttrice cerca di giustificarsi: “Purtroppo la grande pressione che i numeri hanno evidenziato su Bergamo ha comportato anche un notevole stress dei media su di noi”. Parole che non frenano affatto le preoccupazioni dell’assessore, che sembra concentrato più sulle possibili ripercussioni mediatiche e politiche della vicenda che sul significato della notizia a livello sanitario: “Un bambino in terapia neonatale domani è l’apertura dei giornali nazionali. Notizia devastante. Licenzia l’addetta stampa!!!”, dice alla dg. L’addetta stampa era Vanna Toninelli, che ha seguito la fase più complessa legata alla pandemia. Da agosto 2020 non lavora più al Papa Giovanni: si è dimessa per un altro incarico.

Dalle chat emerge anche l’allarme fatto scattare già dal 22 gennaio 2020, quando ancora non era nota la diffusione del virus in Italia, da parte del dg della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, che dopo aver visionato un video proveniente dalla zona di Wuhan scrisse a Silvio Brusaferro: “I video, se veri, sono impressionanti. Se questa è la situazione forse bisogna preoccuparsi“. Poi ai pm ha ricostruito le ore precedenti alla scoperta del paziente 1 di Codogno: “La dottoressa Gramegna, di Regione Lombardia, mi ha chiamato la notte tra il 20 e il 21 febbraio 2020 dicendo di avere un caso positivo a Codogno”, ha raccontato. La stessa velocità non c’è però stata, tre giorni dopo, dopo i primi due casi di Alzano: “I colleghi che rientrarono dalla Lombardia la sera del 23 febbraio non avevano rilevato l’esistenza di casi positivi in quell’area”, aggiunge Rezza.

Nelle chat si può anche ricostruire l’evoluzione di tutta la questione dell’approvvigionamento di mascherine. Tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, le ffp2 e ffp3 sono esaurite nonostante il ministero le ritenga fondamentali per gli operatori sanitari. Così, la Lombardia chiede di sdoganare le mascherine chirurgiche. A insistere è in particolare Luigi Cajazzo, direttore del Welfare, ma la modifica delle linee guida non arriva: “Nell’ultima ora ho parlato con Brusaferro, Borrelli, Ruocco — scrive Cajazzo a Gallera l’1 marzo — Secondo Ruocco c’è norma pronta. Ma Borrelli mi dà versione diversa e Brusaferro pontifica. Io mi sono incazzato e ho detto che da oggi comincio a chiudere ospedali“. Il giorno dopo, le mascherine chirurgiche vengono sdoganate per una questione di necessità sfruttando un parere dell’Oms.

C’è poi il braccio di ferro sulla zona rossa a Nembro e Alzano. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha raccontato di aver raccolto un duro sfogo di Persico, titolare dell’omonima ditta leader nell’industria dell’automotive e marina, che sfogandosi aveva spiegato che le chiusure avrebbero mandato in fumo commesse milionarie, con conseguenze disastrose su uno stabilimento da 600 dipendenti che entro ottobre doveva consegnare il nuovo scafo di Luna Rossa. “Non ho esercitato alcuna pressione per non fare istituire la zona rossa – si è difeso il titolare di fronte ai pm – ho semplicemente espresso le mie preoccupazioni, atteso che se non consegnavo i materiali sarei stato soggetto a danni milionari e a conseguenze occupazionali“. Preoccupazioni manifestate anche da Marco Bonometti, il presidente di Confindustria Lombardia, che però ha sostenuto di aver parlato con l’imprenditore di Nembro solo di una zona rossa allargata a tutta la Lombardia. E a domanda, se avesse chiesto al governatore Attilio Fontana di attivarsi per evitare certe scelte: “Sì, gliel’ho chiesto. Regione Lombardia era d’accordo con noi nel non istituire le zone rosse ma nel limitare le chiusure alle sole aziende non essenziali”.

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