“Vedere la tua vita diventare una fiction è devastante. È stato pesante, per la nostra famiglia. Ma mi spaventa ancora di più che nella mia città in molti non abbiano idea di chi fosse Elisa Claps. Questa serie è importante perché potrà diffondere la sua storia tra i più giovani” dice Gildo Claps, il fratello della sedicenne scomparsa a Potenza il 12 settembre del ’93 la cui vicenda, tra le più agghiaccianti accadute in Italia, diventerà un film: “Il caso Claps” di cui sono in corso le riprese nel capoluogo lucano. Sarà una serie in tre puntate diretta da Marco Pontecorvo e prodotta da Rai Fiction. Nasce da un’idea del produttore inglese Ben Donald e andrà in onda anche sulla Bbc One. Il progetto è quindi una coproduzione angloitaliana. Nel cast, Gianmarco Saurino e Giacomo Giorgio: già volti di serie fortunate quali, rispettivamente, “Mare Fuori” e “Che Dio ci aiuti”. I genitori di Elisa saranno Anna Ferruzzo e Vincenzo Ferrera, Beppe di Mare Fuori. “Non hanno trovato una sola chiesa disponibile in tutta la diocesi per girare alcune scene. Sembra ci sia un diktat. C’è molta agitazione per questa serie, soprattutto tra il clero potentino”, spiega il fratello. Per capire le origini di ciò, bisogna ripercorrere la storia crudele di Elisa Claps che per anni ha scosso l’intera comunità.
Potenza, 12 settembre. È una calda domenica ed Elisa, studentessa al terzo anno del liceo classico, esce con la sua amica Eliana per andare a messa, nella centralissima chiesa della Santissima Trinità. Deve rientrare da lì a poco per raggiungere la famiglia per il pranzo in campagna, a Tito. Alle 11.30 si distacca momentaneamente dalla sua amica per incontrare Danilo Restivo, un ragazzo di qualche anno più grande che le aveva dato un appuntamento in chiesa, la sera prima, per consegnarle un regalo. Da allora nessuno la rivedrà più. Il ragazzo poi ammette di aver incontrato Elisa in chiesa ma di averla vista uscire dalla porta principale.
Il suo corpo viene ritrovato, il 17 marzo del 2010, dopo 17 anni, nello stesso luogo della scomparsa e in cui aveva incontrato Restivo: il sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità. L’ultimo indizio portava lì, quando tutte le altre strade si chiudevano. Elisa era stata uccisa quella stessa domenica con 12 colpi di arma da taglio al torace, come risulta dalle perizie della Procura di Salerno. Per il suo omicidio viene condannato Danilo Restivo che la colpì dopo un approccio sessuale rifiutato dalla ragazza. Sulla maglietta intrecciata a mano dalla madre di Elisa, vengono trovate tracce del suo Dna. Quando viene accusato per l’omicidio di Elisa, Restivo vive in Inghilterra, a Bournemouth, nel Dorset, dove era tenuto sotto controllo e pedinato dalla polizia locale, perché sospettato per l’omicidio della sua vicina di casa, la sarta 48enne Heather Barnett, trovata morta in casa il 12 novembre del 2002. Il corpo era stato mutilato e nelle mani erano state trovate due ciocche di capelli non appartenenti alla vittima: dettaglio inquietante che evoca una sua insolita abitudine per cui si era già fatto notare a Potenza, quella di tagliare di nascosto i capelli alle ragazze con un paio di forbici che portava sempre con sé.
Fu il delitto della Barnett a risolvere quello di Elisa?
In realtà avvenne il contrario. Restivo è stato fermato con l’accusa di omicidio dopo il ritrovamento del corpo di Elisa. Le autorità inglesi non riuscivano a incastrarlo. Io andai lì e dissi tutto ciò che sapevo. Nel tempo, come ogni serial killer, aveva affinato la sua tecnica. Fu il primo ad arrivare sul luogo del delitto, insieme ai figli della poveretta. L’ennesimo rifiuto fece esplodere la sua rabbia omicida nel caso di Elisa mentre in quel caso aveva programmato tutto nei minimi dettagli. Fu arrestato il 19 maggio 2010 e, il 30 giugno del 2011, venne condannato all’ergastolo dai giudici della Crown Court di Winchester per l’assassinio di Heather Barnett.
Il processo contro Danilo Restivo si tenne a Salerno. Il foro competente fu spostato perché il marito del magistrato potentino che dirigeva le indagini, Felicia Genovese, fu accusato da un pentito di aver ricevuto dei soldi, 100 milioni di lire, per deviare le indagini. Poi fu prosciolto ma di certo, non erano state indagini risolutive le sue.
Ripenso a tutti i depistaggi, alla pista albanese, a quella brasiliana. Il primo istinto quella stessa domenica fu di far riaprire la chiesa, misi tutto a soqquadro: la navata, l’altare. Poi vidi una porta che andava verso l’alto, chiesi di aprirla ma mi dissero che le chiavi erano nella disponibilità esclusiva del Parroco, Domenico “don Mimì” Sabia, che era partito all’improvviso per tre giorni. Non è mai stato fatto un sopralluogo in quella chiesa che don Mimì ha sempre protetto da qualsiasi interferenza esterna. Surreale che non sia mai stata fatta un’ispezione accurata, nonostante un ispettore di polizia avesse avuto una soffiata da un confidente che gli disse che il corpo di Elisa era lì. Fino alla morte di don Mimì, quella porta è stata invalicabile. Poi, è iniziato un vergognoso balletto per il rinvenimento.
Lei crede che qualcuno già sapesse dov’era il corpo di Elisa prima del ritrovamento?
Quel ritrovamento, nel marzo del 2010, è stata una messa in scena, il corpo di Elisa era stato già trovato prima. Quando fu ritrovato, era totalmente scoperto mentre dalle perizie sappiamo che è rimasto sepolto per tutti quegli anni. Come risulta da una prima versione data agli inquirenti dal viceparroco della Trinità don Vagno, a gennaio era salito in quel sottotetto e aveva visto il cranio di Elisa, gli occhiali, il corpo, insieme a due signore. Non credo neanche fosse il primo ritrovamento, detto tra noi. Le due donne che erano con lui, che facevano le pulizie in quella chiesa, furono mandate a processo ma lui no. Né Vagno che era con loro, né l’arcivescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, a cui Vagno telefonò quel giorno per dirgli che aveva trovato un cadavere, come dichiarò in un primo momento in Procura. I due non sono mai stati indagati. Gli hanno fatto passare tutto. Furono le due donne il capro espiatorio. Vennero anche condannate in primo grado per falsa testimonianza. Dopo, sono trascorsi due mesi per il ritrovamento ufficiale. A marzo, mandarono due operai, con la scusa di alcune infiltrazioni d’acqua, che trovarono Elisa completamente scoperta. Dalle telefonate agli atti della procura, risulta infatti che il viceparroco della Trinità, nel gennaio del 2010 aveva telefonato a Monsignor Superbo per avvertirlo del ritrovamento di un cranio. Poi dirà che aveva inteso dire “ucraino”.
Lei crede che Restivo fu aiutato nel nascondere Elisa?
Restivo non può aver nascosto da solo il cadavere. Non c’era con i tempi. Quel giorno credo abbia lasciato Elisa lì, agonizzante. Dopo, è corso al pronto soccorso per farsi medicare la ferita da taglio alla mano, refertata come una ferita da caduta in base a quanto lui stesso dichiarò, poco verosimilmente. È scappato via dalla Chiesa prima delle 12,30, quando avrebbe poi incrociato le persone che sarebbero entrate per la messa. Il corpo di mia sorella è stato trascinato nel punto più lontano del sottotetto e ricoperto di materiale di risulta. In base alle perizie, emerse che fu fatto un foro nel tetto per fare uscire i miasmi del cadavere. Qualcuno è andato lì per sistemare tutto. Restivo ha goduto di tanta complicità e questo porta ancora tanta amarezza alla mia famiglia.
Chi e quando l’avrebbe aiutato?
La tutela nei suoi confronti è scattata subito. Quel giorno, tra l’altro, aveva i vestiti macchiati di sangue, ma non furono sequestrati. Nell’immediato fu allontanato da Potenza. Andò prima a Rimini: tempo una settimana per far venire fuori la sua natura di molestatore. Scappò poi a Torino, dove quasi fece bere un bicchiere di urina a una sua vicina di casa che lo aveva respinto, spacciandola per birra. Lei per fortuna se ne accorse per tempo e reagì. Il giorno dopo, la sua casa prese fuoco. Avrebbero dovuto fermarlo.
Soltanto la famiglia lo avrebbe coperto?
Se l’omicidio di Elisa fosse avvenuto in un’altra chiesa, sarebbe stato diverso. La santissima Trinità era un luogo di culto particolare, in quegli anni era un centro del potere tant’è che lo stesso don Mimì Sabia, diceva di rispondere direttamente al Vaticano. Quella era la chiesa a cui era legato il senatore a vita Emilio Colombo (già Presidente del Consiglio e, tra le altre cariche, ministro degli Esteri, nda), e in quegli anni il suo partito, la Democrazia Cristiana era padrona assoluta in Italia, lo sappiamo tutti.
Adesso stanno provando a riaprire quella chiesa al culto. Cosa ne pensa?
Ci stanno provando ma si sono incartati. Non vogliono chiedere scusa e assumersi la responsabilità morale, di certo non personale, per quanto è accaduto lì dentro. Negano l’evidenza. Non c’è mediazione possibile. Certo, manca la prova provata dell’occultamento volontario del corpo di Elisa ma è impensabile che don Mimì fino alla morte non sapesse di averla sopra la propria testa. Ci sono elementi fattuali a sostegno di ciò, in primis il corpo completamente scoperto il giorno del ritrovamento mentre dalle perizie sappiamo che per 17 anni è stato sepolto da tegole e materiale di risulta. Chi ha tolto quel materiale prima del ritrovamento? Chi l’ha scoperto? Nessun potere dovrebbe occultare la verità. Il viceparroco Don Vagno e Monsignor Superbo a mio avviso hanno messo in piedi un’orribile sceneggiata. Non sono mai più entrato in quella Chiesa fino al giorno del ritrovamento.
Quando avete iniziato a percepire questo atteggiamento di chiusura nei vostri confronti?
Mia madre, un giorno ebbe un battibecco con don Mimì. Accadde nel primo anniversario della scomparsa di Elisa. Chiedemmo a tutte le chiese in città di suonare le campane all’unisono: solo con Mimì si oppose. E disse a mia madre: “Non voglio perché non conosco Danilo Restivo e non conoscevo Elisa”. Ci colpì il fatto che utilizzò un verbo al passato, come se sapesse già che era morta. Fu un segnale inquietante, anche perché poi ho trovato una foto in cui era abbracciato a Restivo nel giorno del suo 18esimo compleanno, prima della scomparsa di mia sorella. Sui muri della città comparve ovunque la scritta: “Don Mimì Sapìa”, che in dialetto potentino significa sapeva. Hanno provato a cancellarle tutte, ma ce n’è ancora qualcuna in città.
Riceviamo e pubblichiamo
Egregio Direttore,
mi riferisco ai seguenti passi dell’articolo in oggetto per chiedere, in nome e per conto di S.E. il Vescovo di Potenza, Monsignor Salvatore Ligorio, che si proceda alla rettifica ex lege prevista.
“Non hanno trovato una sola chiesa disponibile in tutta la diocesi per girare alcune scene. Sembra ci sia un diktat. C’è molta agitazione per questa serie, soprattutto tra il clero potentino’. L’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo ha avuto una sola richiesta di riprendere, in una Chiesa, alcune scene relative alla produzione televisiva in argomento; la richiesta è stata negata non per “diktat o agitazione del clero’, come sottolineato negli articoli, ma perché si tratta di riprese cinematografiche e televisive aventi un fine commerciale incompatibile con il valore storico, artistico e, soprattutto, religioso degli edifici di culto.
“Non è mai stato fatto un sopralluogo in quella chiesa che don Mimi ha sempre protetto da qualsiasi interferenza esterna. Surreale che non sia mai stata fatta un1’spezione accurata”. La Polizia giudiziaria (Questura di Potenza e DIA di Salerno), su delega della Direzione distrettuale antimafia di Salerno, ha effettuato, previo sequestro, accertamenti tecnici dal novembre 2007 sino al marzo 2008.
“Vergognoso balletto per il ritrovamento’, “Orribile sceneggiata”. “I due [Monsignor Superbo e don Wagno] non sono mai stati indagati’. “Dalle telefonate agli atti della procura, risulta infatti che il viceparroco della Trimtà, nel gennaio del 2010 aveva telefonato a Monsignor Superbo per avvertirlo del ritrovamento di un cranio’. Monsignor Agostino Superbo e don Wagno Oliveira e Silva sono stati sottoposti ad indagine dalla Procura della Repubblica di Salerno per il delitto di false informazioni al Pubblico Ministero; il procedimento è stato definito con decreto di archiviazione in data 18 giugno 2015 per insussistenza dell’ipotesi di reato. A pagina 7 del decreto si legge, in particolare, che – contrariamente a quanto sostenuto nella memoria difensiva dei denuncianti – la conversazione tra Monsignor Superbo e don Wagno alla quale si fa riferimento nell’articolo è avvenuta il 18 marzo 2010 (il giorno dopo il ritrovamento) e non a gennaio dello stesso anno. Anche il Tribunale di Potenza, nel condannare le due signore incaricate delle pulizie della Parrocchia della SS Trinità, ha sottolineato, a pagina 15, come la testimonianza di don
Wagno sia stata pienamente attendibile, spontanea e disinteressata e come le imputate fossero salite nel sottotetto anche prima del ritrovamento dei resti di Elisa Claps.
Ringrazio e porgo distinti saluti.
Potenza, 21 marzo 2023
Avv. Prof. Donatello Cimadomo