L'analisi del professor Claudio Mencacci, psichiatra, direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli di Milano e co presidente Sinfp
“Da gennaio prendo un antidepressivo molto forte che mi ha cambiato molto, mi ha agitato tanto e mi ha dato degli effetti collaterali dal punto di vista fisico molto forti fino a provocarmi tic nervosi alla bocca, non permettendomi di parlare in modo libero. Per queste ragioni ho sospeso il farmaco senza scalarlo. Mi ha causato una cosa che si chiama effetto rebound”, ha raccontato Fedez in una sua storia di Instagram. Quello di cui parla il noto artista viene definito anche “sindrome da sospensione del trattamento”, significa che, “a seconda delle molecole presenti nel farmaco utilizzato, si verifica nel 15-20% dei casi la comparsa di una serie di sintomi causati dalla sospensione brusca, repentina della terapia farmacologica”, spiega il professor Claudio Mencacci, psichiatra, direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli di Milano e co presidente Sinfp. “La sindrome da sospensione porta alla ricomparsa dei sintomi della patologia trattata e di altri disturbi come dolori muscolari, peggioramento dell’umore, irritabilità, tremori, andatura barcollante, cefalea, vertigini, crisi di pianto… A livello fisiologico, l’interruzione brusca della terapia porta a un cambiamento nella sensibilità dei sistemi di neurotrasmissione chimica o degli adattamenti a livello cerebrale o di altri organi”.
Per affrontare questa evenienza è importante che la persona che segue la terapia antidepressiva conosca la durata del trattamento, “che può variare, per esempio, da uno a cinque anni. E qualora comparissero effetti collaterali – che possono essere normali all’inizio della cura e durare anche alcune settimane – il paziente deve ricevere dallo specialista le indicazioni su come sospendere l’assunzione del farmaco”, continua l’esperto.
Ma di fronte all’insorgenza di importanti effetti indesiderati della terapia farmacologica come comportarsi? “Sempre sotto consiglio del medico, va adottata una graduale diminuzione del dosaggio dei farmaci che va attuata nel giro di pochissimi giorni, in genere 3-4, aiutando la persona a limitare gli effetti collaterali, eventualmente con altri farmaci specifici. Ma ripeto, mai smettere bruscamente la terapia”. Da sottolineare inoltre che il rebound non è una reazione da astinenza, come succede con la dipendenza da alcol o eroina.
Da segnalare che sono a disposizione alcune tipologie di farmaci antidepressivi che non provocano sintomi se vengono sospesi nella terapia. “Di recente è stato registrato la vortioxetina, un farmaco antidepressivo multimodale. Ma ricordo anche la fluoxetina (Prozac), la sertralina e i farmaci a base di bupropione che danno minori effetti da sospensione”, ricorda Mencacci. La regola d’oro è quindi un efficace rapporto medico-paziente e la possibilità di personalizzare la terapia. Con un’ultima avvertenza: “La stragrande maggioranza delle persone sospende l’assunzione del farmaco quando si sente bene. In realtà, devono proseguirla per un certo periodo di tempo”, sottolinea Mencacci. “Se non seguono questa indicazione, non solo si espongono alla riacutizzazione della patologia per cui erano state prescritte quelle medicine, ma favoriscono l’insorgenza dei sintomi da rebound. E, soprattutto, rischiano di rendere meno efficace la terapia una volta che riprendessero ad assumere i farmaci indicati dal medico”.