Con la neve naturale sempre più rara per l’aumento delle temperature, l’Italia è tra i Paesi alpini più dipendenti da quella artificiale, che ricopre il 90% delle piste. In Austria la percentuale è del 70%, in Svizzera del 50%, in Francia del 39% e in Germania del 25%. Ma quella su cui si punta è una neve sempre più costosa e prodotta con una pratica non sostenibile che sperpera soldi pubblici. Lo raccontano i dati del dossier di Legambiente “Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell’era della crisi climatica”. Il sistema di innevamento artificiale, infatti, comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio. Secondo Legambiente, in particolare, la copertura del 90% delle piste fa consumare ogni anno 96 milioni e 840mila metri cubi di acqua, che corrispondono all’incirca al consumo idrico annuo di una città da un milione di abitanti. “L’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione”, è spiegato nel dossier. Anche perché il costo della produzione sta aumentando: è passato dai circa 2 euro al metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro nella stagione 2022-2023. Eppure una soluzione va trovata. Lo scorso anno è stato quello più caldo e secco in oltre due secoli in Italia, il secondo più caldo in Europa: elevate temperature e scarso innevamento producono ricadute negative anche su turismo invernale e stagione sciistica. In quella 2022-2023, per la prima volta nella storia dello sci, nel calendario di Coppa del mondo da inizio stagione a fine febbraio 2023 sono state cancellate o rinviate per il comparto maschile otto gare su 43, il 18,6% del totale. Per il comparto femminile sono state cinque le gare cancellate su un totale di 42 (11,9%). Quasi tutte per scarso innevamento o temperature elevate.
Una scelta insostenibile – La soluzione più adatta, però, deve tener conto dei cambiamenti in atto. “La neve artificiale, che negli anni Ottanta era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture”, spiega Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente. “Non si considera però che se le temperature aumenteranno oltre una certa soglia, l’innevamento semplicemente non sarà più praticabile se non in spazi molto ristretti di alta quota”. Cioè in luoghi dove i costi già elevati subiranno incrementi consistenti, tanto da permettere l’accessibilità dello sci alpino solo a una ridotta élite, così come nel passato. “Le nostre montagne stanno cambiando: nevica più tardi, la neve è pochissima, più bagnata e più pesante. È la fine di un’epoca che però va accompagnata da un nuovo modo ecosostenibile di ripensare il turismo insieme a un nuovo approccio culturale”, aggiunge Bonardo. D’altronde, a tre anni dal via, sono diversi i rischi, i ritardi e le ombre all’orizzonte per quel che riguarda anche le Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Se da una parte i cantieri delle infrastrutture considerate essenziali-indifferibili sono già in ritardo, dall’altra la costruzione di queste opere sarà soggetta a procedure accelerate “rischiando di sacrificare così le necessarie valutazioni sugli impatti ambientali e sanitari”. Peraltro manca ancora un completo cronoprogramma e quindi è difficile stabilire se e quali opere verranno concluse in tempo. Per non parlare del rischio di infiltrazioni mafiose.
L’appello a Santanchè – A inizio anno la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, ha dato la sua ricetta per l’emergenza dovuta alla mancanza di neve: liberare i fondi Covid al non utilizzabili per altre finalità, ristornare subito gli investimenti a cui si è fatto fronte nel 2022, lavorare sugli ammortizzatori sociali per gli stagionali e innevare artificialmente. “Al ministro torniamo a ribadire che avrebbe più senso investire risorse nell’adattamento e non nell’innevamento artificiale”, incalza Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Con un clima sempre più caldo”, spiega, “nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici e conflittuali. Basti pensare a quelli dell’idroelettrico e dell’agricoltura, su cui la mancanza di neve sta avendo impatti molto forti”. L’alternativa, quindi, è quella di “ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività”. Anche perché preoccupa il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna, vicini ai comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale. Sono 142 quelli mappati nella Penisola da Legambiente, per una superficie totale pari a oltre un milione di metri quadrati. Il Trentino-Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più: sono quattro.
Impianti dismessi e “accanimenti terapeutici” – In parallelo, aumentano sia gli impianti dismessi (che sono 249, 15 in più rispetto al 2022), sia quelli temporaneamente chiusi (138, tre in più) sia quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico“, che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico e che sono 181 (33 in più). Tra questi, ad Asiago (Vicenza), Comprensorio Kaberlaba, è stato costruito un nuovo bacino di raccolta per sparare neve nonostante la contrarietà delle attività ricettive. Tra gli impianti dismessi quello di Gressoney-la Trinité, in località Orsia-Bedemie (Aosta), dove l’ex sciovia era utilizzata per sci estivo e snowboard. Lo skilift è stato dismesso per la fusione del ghiacciaio. Le stazioni di partenza e di arrivo del vecchio skilift sono state smantellate e sgomberate. Tra gli impianti temporaneamente chiusi, quello di Picinisco (Frosinone) dove il comprensorio non riesce a risollevarsi nonostante il rimodernamento da parte dell’amministrazione. Poi ci sono 84 impianti “un po’ aperti, un po’ chiusi, ossia quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore”. In totale sono 84, come quello di Subiaco, nel Lazio, a Monte Livata, composto da una seggiovia e tre skilift: è stato chiuso a dicembre, aperto a gennaio. Un continuo rincorrere la neve. Sono 78, invece, gli “edifici fatiscenti”, come quello di Colonia Pian di Doccia, Gavinana (Pistoia) dove si trova un enorme complesso in totale stato di abbandono e colpito da atti di vandalismo.