Bisogna sempre essere felici quando un proprio libro viene recensito, quand’anche si tratti di una recensione critica. E così è per la recensione del mio saggio La fine del cristianesimo apparsa su Domani a opera di Paolo D’Angelo, intitolata in modo inequivocabile La fine del Cristianesimo è fortemente sopravvalutata. Quella di Fusaro, invece…

Va detto, per onestà, che non si tratta di una recensione del testo, ma di un attacco ad personam, e ciò la rende ancora più interessante e direi anche rivelativa. Intanto, appare in una rubrica chiamata La stroncatura: e non è difficile immaginare come sia stata commissionata all’autore, acciocché colpisse non tanto il libro – che, nella recensione, è soltanto un pre-testo – quanto l’autore, con tutta evidenza inviso al giornale diretto dal frequentatore del Bilderberg, il liberal-atlantista Stefano Feltri. Tant’è che l’oggetto critico non è il libro, ma il sottoscritto.

Si passa da frasi estrapolate a caso dal libro ad attacchi personali contro il sottoscritto, financo per i luoghi che frequento e poco ci manca per cosa mangio a colazione. Ne scaturisce una recensione basata sul nulla impastato con il niente, fatta di frasi cucite a caso col solo scopo di delegittimarmi e ostracizzarmi, inchiodandomi alle posizioni di una destra reazionaria, che da me e dal libro sono distanti quanto Marte da Plutone. Ciò produce un effetto straniante per chi il libro l’ha letto e, a maggior ragione, per chi l’ha scritto. Un’operazione che, quanto a furfanteria ideologica, ricorda quel passaggio di Marx, scritto nel poscritto alla seconda edizione del Capitale: “Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”.

Paolo D’Angelo ce l’ha con la destra sovranista, e si sente in dovere di ascrivere a suddetta destra il sottoscritto e La fine del cristianesimo, e in ciò sta tutta la disonestà intellettuale della sua recensione. A nulla vale che il sottoscritto critichi impietosamente, quasi ogni giorno, il liberismo e l’atlantismo della destra, rivendicando un socialismo democratico e internazionalista. E ad ancor meno vale che La fine del cristianesimo sia costruita su una struttura che rimanda a Ernst Bloch (“Ateismo nel cristianesimo”) e a Pasolini, l’autore più citato e discusso favorevolmente. Evidentemente D’Angelo preferisce discutere di Meloni e di destra sovranista anziché di Pasolini, Marx, Bloch e Hegel. Egli s’è cacciato in testa che ciò che gli sta davanti è nero, e anche se è palesemente bianco deve ostinatamente ripetere – con gesto pavloviano – che è nero. E così D’Angelo scrive cose talmente surreali che, alla fine, lo straniamento del lettore trapassa in ilarità.

Ad esempio, mi attribuisce la folle tesi secondo cui la secolarizzazione nascerebbe negli ultimi vent’anni. Della tesi nodale della seconda parte del testo, tesi secondo cui il papa rimase sempre Ratzinger, non c’è traccia. Né vi è traccia di quella, al centro della prima parte, secondo cui l’evaporazione del cristianesimo non porta alla società emancipata ma al disincanto della reificazione completa. Sciocca, oltreché infondata, la tesi secondo cui il mio libro sarebbe un rigetto della modernità: a meno che modernità non siano i porti aperti cari allo sfruttamento, il progresso tecnocapitalistico e i capricci arcobaleno. Ma, se così fosse, che balzana idea di modernità! Sarebbe allora ancor più antimoderno di me il Marx della Questione ebraica, che critica i “diritti dell’uomo”, o il Gramsci dei Quaderni del carcere, che valorizza il nazionale-popolare.

Proprio qui il punto: per il pensiero (neo)liberale, la modernizzazione capitalistica e, dunque, la mercantilizzazione di tutto (e di tutti) coincide con la modernità; e chi osi contestare è ipso facto un reazionario, antimoderno, populista. Banalità ben note, che solo non ci aspetteremmo da un docente di filosofia. Della concretezza storica e dei reali rapporti di forza D’Angelo pare non avere contezza, per lui vi sono solo “ossessioni” della destra sovranista che vuole contenere l’inarrestabile marcia dei “diritti” del capitale e delle sue classi di riferimento, ovviamente spacciati per conquiste di civiltà, nel solito trionfo dell’ideologia nell’accezione marxiana.

Peccato, davvero. Sarebbe potuta essere un’occasione di confronto serio e disinteressato. E invece si ha solo il trionfo della “distruzione della ragione”. Non della mia, se non altro.

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