Nel modello economico della crescita ogni cambiamento diventa un fallimento. Ogni tentativo di reazione viene soffocato. E’ chiaro che per cambiare la realtà intorno a noi, la nostra cultura, la nostra società, la nostra economia dovremmo agire per cambiare le nostre abitudini, individuali e collettive. Eppure sembra un’impresa titanica. Il modello della crescita ci condiziona anche in questo. Lo fa con il modello iperproduttivo e iperconsumistico che investe le nostre vite riempiendo tutti gli spazi del nostro tempo sottraendoci forze e risucchiando energie.

Il cambiamento ha bisogno di spazi di trasformazione, momenti di riflessione, di radicamento e poi di azione. Se non abbiamo il tempo di fare tutto questo come pensiamo che la nostra vita e con ancora più ambizione la realtà intorno a noi possa cambiare? Così corriamo, ci affanniamo, ci esauriamo come pile e non c’è tempo per cambiare abitudini e costruire spazi alternativi. In questa centrifuga del modello della crescita e del profitto finisce tutto, persino l’economia circolare che diventa generatrice di entropia innestandosi dentro un modello produttivistico e consumistico, che non può risolvere alcun problema, ma solo crearli, aumentando disuguaglianze. E’ un modello che accresce il consumo di energia e di materie prime e amplifica la devastazione ambientale.

Pensiamo alle auto elettriche. Se il modello resta la sostituzione di tutte le auto private, che siano a gas, diesel o a benzina, con le auto elettriche allora abbiamo già perso. Anche l’auto elettrica paga il suo prezzo di produzione di materie prime, di batterie a litio, di energie, di montagne sventrate, di rifiuti, di macchine vecchie da accantonare e portare in discarica e di CO2 emesse. Non basta la tecnologia per innovare e il nuovo non è sempre una ricetta che ci rende migliori o ci fa vivere meglio. Se non innoviamo la cultura e il nostro pensiero e la nostra valutazione di bene e male allora siamo già morti.

Questa produzione impazzita senza un’etica, dove investire in armi diventa l’equivalente di investire in comunità energetiche o in efficientamento energetico, sta dando il colpo di grazia alla civiltà umana. Il motore di tutto questo resta il Pil, i profitti degli stramiliardari a capo delle aziende e il ricatto dei posti di lavoro perché non si vogliono ridurre né le ore, né le giornate di lavoro per tutti, né si vuole introdurre un reddito incondizionato di base.

E così la pianificazione dell’economia è ancora un argomento tabù. Per fortuna la comunità scientifica non è rimasta a guardare. Tanti ricercatori in tutto il mondo, in una rete che diventa ogni giorno più ampia, dedicano le loro ricerche a immaginare e ad analizzare una nuova società in un mondo post-crescita. Uno dei progetti di ricerca di questo filone è Post-Growth Innovation Lab finanziato dall’Erc Starting Grant 2020 ospitato dall’Università di Vigo e dall’Agenzia per l’innovazione della Galizia (Gain).

Come funziona il lavoro in una società post crescita? Quali cambi organizzativi sono necessari? Quali meccanismi? Come trasformare imprese commerciali in azienda che non crescono, ma fanno prosperare la civiltà umana? Sono alcuni dei quesiti che dobbiamo porci per raggiungere e costruire un nuovo orizzonte. La nostra risorsa illimitata a cui attingere è il nostro immaginario e la nostra cultura. La nostra ricchezza non è il denaro, ma il tempo a disposizione nel nostro ciclo di vita. Ogni secondo è prezioso e può essere vissuto pienamente. Il nostro sguardo non deve più inaridirsi sul breve termine, ma deve diventare profondo e lungimirante e avere almeno l’ampiezza di un’era. Allora le cose inizieranno ad accadere e a cambiare. E’ l’unica strada che abbiamo per la sopravvivenza.

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