“Il mercimonio di cariche attuato dalle correnti ha allarmato i cittadini e screditato i magistrati“, “lo scandalo Palamara ha scoperto un verminaio a cui non si è posto rimedio”, “le logiche correntizie minano la credibilità della magistratura italiana”. Ecco un piccolo campione delle frasi incendiarie che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dedicato alla spartizione dei posti di potere tra le associazioni politiche di giudici e pm. Ecco invece il programma di Fratelli d’Italia, il partito con cui è stato eletto: “Revisione degli incarichi fuori ruolo al fine di ricondurre più magistrati possibili allo svolgimento delle funzioni loro proprie”. Tutte parole andate in fumo alla prova dei fatti: una volta arrivato al governo, il Guardasigilli ha realizzato un’imponente occupazione delle cariche di vertice, affidando le caselle più importanti proprio ai magistrati fuori ruolo allevati dalle correnti. O meglio, da una corrente sola.

La rivincita di Mi – Sotto il regno di Nordio, infatti, via Arenula si è trasformata in un feudo di Magistratura indipendente (Mi), la sigla conservatrice che è stata la più delegittimata (insieme ai moderati di UniCost) dallo scandalo nomine: nel salotto dell’hotel Champagne, a discettare con Palamara e Luca Lotti del nuovo procuratore di Roma, c’erano il suo storico leader Cosimo Ferri (che per quei fatti è ancora sotto procedimento disciplinare) e tre eletti del gruppo al Consiglio superiore della magistratura, costretti a dimettersi e poi sospesi dalle funzioni. Una batosta a cui la corrente ha reagito, negli anni successivi, con un'”operazione rinnovamento” che ha portato alla sostituzione totale della dirigenza. Ora però, a capo dei dipartimenti e degli uffici di diretta collaborazione, il nuovo ministro ha nominato quasi solo esponenti della Mi “storica”, spesso con alle spalle un lungo cursus honorum di incarichi di governo, legati a doppio filo alla vecchia stagione. Accanto a loro, l’ex pm ha voluto con sé alcune figure di collegamento con l’area politica a cui è più vicino, cioè il “polo garantista” formato da Forza Italia, Azione e Italia viva. È noto, infatti, che il Guardasigilli vada molto più d’accordo con il suo vice azzurro, Francesco Paolo Sisto, che con il sottosegretario del suo partito, Andrea Delmastro.

L’ex deputata “capo di gabinetto ombra” – Lo spoils system parte il 26 ottobre, a pochi giorni dal giuramento del governo. Nordio fa fuori Raffaele Piccirillo, pm di Cassazione scelto come capo di gabinetto da Alfonso Bonafede e confermato da Marta Cartabia: al suo posto arriva Alberto Rizzo, presidente del tribunale di Vicenza, uomo di Mi, catapultato da una piccola realtà di provincia al vertice dell’amministrazione statale. La nomina più pesante di quel giorno, però, è quella della vicecapo di gabinetto vicaria, scelta direttamente tra i parlamentari uscenti: è Giusi Bartolozzi, giudice in aspettativa, eletta con Forza Italia e poi traslocata al gruppo misto. Bartolozzi – moglie di Gaetano Armao, già candidato alla presidenza della Sicilia per Azione e Italia viva – è molto vicina a Cosimo Ferri, ma anche a Enrico Costa, responsabile Giustizia del sedicente Terzo polo. Tutti i retroscena raccontano che è lei a comandare di fatto in via Arenula, scavalcando con nonchalance il suo superiore Rizzo: non è un caso che ci fosse la sua firma sotto gli atti con cui il ministero ha negato a tre deputati l’accesso al rapporto della Polizia penitenzaria sui dialoghi in carcere tra l’anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi. Un diniego che ha messo in seria difficoltà il sottosegretario Delmastro, indagato proprio per aver divulgato quel documento al suo compagno di partito Giovanni Donzelli. Accettando l’incarico al fianco di Nordio, peraltro, l’ex parlamentare azzurra si è rimangiata anni di battaglie contro le porte girevoli: “Volete velocizzare i processi? Lasciate i magistrati in magistratura. Invece no, concedete loro di andare nei ministeri, in quegli uffici dove vai perché sei amico della politica o perché sei appartenente alle correnti, altrimenti non ci vai”, diceva durante il dibattito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.

La capo segreteria e la cena con Palamara – All’inizio di novembre, il Guardasigilli fa un’altra scelta molto “politica”: a capo della segreteria impone GiuseppinaGippyRubinetti, avvocata dello studio di Michele Vietti – ex deputato Udc e vicepresidente del Csm – e membro del cda della fondazione Luigi Einaudi insieme al renziano Andrea Marcucci. Come ha raccontato il Fatto, il nome di Rubinetti (mai indagata) compare nelle carte delle indagini su Palamara: nell’aprile 2019 la neo-segretaria organizza a casa propria una cena con l’ex ras delle correnti per sponsorizzare la nomina a segretario generale del Csm di Luigi Birritteri, sostituto procuratore generale in Cassazione. Quel piano non andrà in porto, ma Birritteri, un altro esponente di peso di Magistratura indipendente – vicino all’ex sottosegretario berlusconiano Giacomo Caliendo – non resta comunque a mani vuote: all’inizio di febbraio Nordio lo mette a dirigere il Dipartimento affari di giustizia (Dag). L’incarico è l’ultimo di una lunga carriera nelle stanze del potere: il magistrato era già stato a capo del Dog (il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria) sotto i ministri Angelino Alfano (governo Berlusconi IV), Paola Severino (governo Monti) e Annamaria Cancellieri (governo Letta), nonché Consigliere di Stato, indicato dal governo Gentiloni. La nomina al Dag è anche un “risarcimento” per la mancata conquista, poche settimane prima, del posto di avvocato generale della Cassazione (il vice del procuratore generale), per il quale il Csm gli aveva preferito a sorpresa Rita Sanlorenzo di Magistratura democratica.

L’en plein degli ex ferriani – Ma la marcia trionfale dell’ex gruppo di Ferri non finisce qui. Il 10 novembre a capo dell’Ufficio legislativo arriva Antonio Mura, procuratore generale di Roma, storico membro di Mi (di cui è stato presidente del Consiglio nazionale). Anche lui è avvezzo alle porte girevoli: sotto i governi Renzi e Gentiloni è stato già per quattro anni a capo del Dipartimento affari di giustizia, proprio mentre il suo capo-corrente, allora deputato Pd, sedeva sulla poltrona di sottosegretario. A fine 2022 arriva l’atteso cambio anche al vertice del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: qui in realtà non è un segreto che Nordio avrebbe voluto tenersi Carlo Renoldi, il dirigente iper-garantista (e scettico sul 41-bis) scelto da Marta Cartabia. Da Fratelli d’Italia, però, gli hanno fatto capire che non era aria. E così, guarda caso, la scelta è ricaduta su un altro nome di Mi, anche lui con buoni agganci nella politica “garantista”: Giovanni Russo, pm della Direzione nazionale antimafia e fratello di Paolo, ex deputato di Forza Italia da poco traslocato in Azione. Pochi giorni fa, il 22 febbraio, Magistratura indipendente si aggiudica anche il Dipartimento della giustizia minorile: il prescelto è Antonio Sangermano, pm noto per aver sostenuto l’accusa nei processi Ruby 1 e 2 (insieme a Ilda Boccassini) e fino a ieri capo della Procura dei minori di Firenze. Prende il posto di Giuseppe Cacciapuoti, nominato da Bonafede e confermato da Cartabia. L’unica eccezione in questo monocolore correntizio è la scelta di Gaetano Campo, di Magistratura democratica, alla guida del Dipartimento organizzazione: una nomina, a quanto pare, suggerita dal capo di gabinetto Rizzo, che lo ha avuto come presidente di sezione a Vicenza.

L’epurazione al Cts – L’ultima vittima della “ruspa” di Nordio è stato il “Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale e gli effetti sul Pnrr“, istituito dalla riforma Cartabia e destinato a restare in carica per tre anni. Come ha raccontato Repubblica, con una mail il ministro ha appena fatto fuori nove componenti su 15, sostituendoli con i nuovi vertici ministeriali – Rizzo, Campo, Mura, Sangermano e Birritteri – e con qualche “tecnico” a lui vicino: tra questi c’è Gian Domenico Caiazza, avvocato, presidente delle Camere penali e fiero sostenitore della separazione delle carriere e della responsabilità civile dei magistrati. Ma anche l’accademico penalista Vittorio Manes, punto di riferimento del mondo “garantista” (ha scritto un volume dal titolo “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo”). E anche qui qualche magistrato, come il giudice del tribunale di Roma Guido Romano. Sul tema delle porte girevoli politica-magistratura, pratica adottata finora da tutti i ministri e confermata da Nordio, al Csm è intervenuto il consigliere Andrea Mirenda, unico eletto senza l’appoggio di una corrente, avvertendo che la “continua commistione” tra ministeri e toghe crea “una confusione che spesso incide anche sulla separazione dei poteri“. E suggerisce che, al posto di distogliere a tempo pieno giudici e pm alle loro funzioni, i ministeri si dotino “di un proprio staff professionale permanente al quale affidare le funzioni di consulenza (…) proprio per recuperare la separazione tra i due diversi ambiti che rischia di venir meno attraverso il sistema delle porte girevoli”.

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