Oggi i discorsi sulle donne e le discriminazioni che ancora le opprimono e imprigionano, anche nei Paesi cosiddetti più sviluppati come il nostro, si sprecano. Media, politici e politiche, intellettuali, istituzioni: tutte e tutti con i loro numeri, i loro slogan e le loro onde da cavalcare. Con le annesse polemiche, naturalmente. Bene, no anzi, benissimo: in Italia, anche se siamo ancora vergognosamente solo al 63° posto per parità di genere nella classifica del World Economic Forum, le donne vivono pur sempre meglio che in altri Paesi, come l’Afghanistan e l’Iran, per dirne due. Il che resta vero, purtroppo, anche se ogni tre giorni una noi viene ammazzata da un compagno, marito o fidanzato, attuale, ex o aspirante che sia.
Voglio aggiungere qualche riga su un punto su cui non si insiste né si lavora mai abbastanza, secondo me. La lotta più dura è quella che ogni donna deve condurre ogni giorno, ogni minuto, innanzi tutto per scoprire dentro di sé, poi per cercare almeno un po’ di contenere, infine, se e quando ce la fa, per scardinare i valori, le gerarchie mentali, i pregiudizi e presupposti silenziosi e infidi che la mantengono frenata, un passo indietro e in qualche modo e misura sempre almeno un po’ rinunciataria rispetto all’uomo di turno.
Che sia tuo figlio bambino o adolescente, a cui concedi più privilegi e perdoni più cose che a tua figlia, anche se in buona fede pensi e dici “non ho mai fatto nessuna-nessuna differenza fra maschio e femmina”: il disordine in camera da lui lo tolleri, dalla figlia meno, le sneaker infangate, il turpiloquio, i ritardi a cena e la notte. E il rendimento scolastico? Lui è bravissimo, quasi geniale, quando porta a casa sei e mezzo sette, mentre se tua figlia ha il massimo dei voti in tutte le materie, lo dai per scontato, lo consideri normale, visto che anche per te era così.
Che sia tuo marito, a cui sei grata perché “spesso carica lui la lavastoviglie” o “appena può, va a prendere la bambina a scuola”. Spesso? Appena può? In un mondo paritetico, i lavori domestici e la cura dei figli dovrebbero essere non benevolmente concessi dal “bravo marito”, ma gioiosamente condivisi o divisi a metà.
Che sia il giovanissimo fidanzato che tu, a soli quindici anni, già consulti sempre con attenzione e tensione, prima di decidere quando uscire con la tua migliore amica. Non per chiedergli il permesso, nooo. Ma vedi sempre la tua amica, guarda caso, solo nelle sere in cui sai già che lui vede gli amici. Perché se facessi il contrario (decidi tu la sera e lui si adatta), “si sentirebbe abbandonato, poverino”.
Che sia il capo in azienda (“una bravissima persona”), che ti chiede, pur gentilmente e indirettemente, mansioni da segretaria (“Chiama lei l’ingegnere?”), da barista (“Si può avere un caffè?”) o addirittura da addetta alle pulizie (“Pensa lei, per favore, a sistemare il tavolo?”) prima o dopo una riunione, che lui dirige anche se sei tu che l’hai organizzata, tu che gli hai preparato le slide, tu che hai fatto le ricerche, trovato i dati e fatto i calcoli che poi lui snocciola con sicumera.
Che sia il padre anziano e malandato, che ti urla addosso di tutto e di più, mentre tu lo accudisci e pulisci. Grida forte, un po’ come faceva quando avevi dodici anni, ma no, a pensarci bene ora grida di più, perché la demenza senile lo ha reso violento. Ma tu lo accetti e lo perdoni, come facevi allora, e ti fai forza ora come allora, no, oggi di forza te ne serve di più, non solo perché sei più vecchia, ma perché hai anche un lavoro con tante responsabilità (anche se il capo di chiede di sistemare il tavolo), un marito che lascia il bagno che è un macello (anche se a volte carica la lavastoviglie), un figlio adolescente che infanga tutto quando torna dopo lo sport e non avete soldi abbastanza per permettervi qualcuno che ti aiuti in casa.
Ti fai forza oggi – come allora – insieme a tua madre, perché anche lei ha sempre subìto in silenzio le urla di papà: a suo dire era comunque “un bravo marito e un bravo padre”, perché “su di me non ha mai alzato le mani, per carità”, solo “un paio di volte”, invece con i figli sì, certo, “ma allora si usava, era normale”. Fortuna che tu e mamma siete sempre state alleate, ti dici spesso. Alleate? Certo. Ma alleate in cosa? Nel mantenere forte e vivo il nemico che stava (e sta tuttora, purtroppo) dentro di voi. Il patriarcato, lo chiamano le femministe. E tu, come lo chiami? Ma soprattutto: lo vedi, lo riconosci?