La sentenza della Corte dei Conti condanna l'operatrice sanitaria a risarcire l'Asst Franciacorta, per cui prestava servizio al momento dei fatti, nel 2015. Non si era accorta del peggioramento delle condizioni del feto ed aveva omesso di avvertire la ginecologa, come previsto dal protocollo e dalle normativa sanitaria
Aveva interpretato erroneamente il monitoraggio della frequenza cardiaca di un neonato, provocando al piccolo danni permanenti. Per questo i giudici della sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia della Corte dei Conti, con sentenza del 14 febbraio scorso, hanno riconosciuto – secondo quanto riportato dall’edizione locale del Corriere della Sera – la responsabilità sanitaria per colpa grave nei confronti di una ostetrica della Asst Franciacorta che nel 2015 era in servizio a Chiari, in provincia di Brescia, condannandola a risarcire l’azienda sociosanitaria per cui prestava servizio con 500mila euro.
Secondo le ricostruzioni, durante il parto il neonato rimase per diverso tempo senza ossigeno, condizione che gli causò una paralisi cerebrale. Tre anni dopo l’accaduto, l’Asst di Chiari raggiunse un accordo economico con la famiglia del bimbo, sottoscrivendo con i genitori un atto di transazione del sinistro, approvato dal Giudice Tutelare, che impegnava l’azienda a corrispondere un milione e mezzo di euro alla famiglia (che nel frattempo ritirò la querela nei confronti dei due operatori sanitari coinvolti nella vicenda).
Dopo la liquidazione del risarcimento partì la segnalazione da parte dell’azienda alla Corte dei Conti, che citò in giudizio la ginecologa e l’ostetrica di turno. Dopo diverse perizie, la sentenza: la sezione giurisdizionale ha deciso per l’assoluzione della ginecologa e la condanna dell’ostetrica. Secondo le ricostruzioni dei magistrati, a partire dalle ore 21 il tracciato dell’attività cardiaca fetale rivelava una frequenza che segnalava il rischio di una sofferenza del feto. La ginecologa di guardia decideva di ricorrere all’amnioinfusione – la somministrazione di soluzione salina per ridurre le decelerazioni variabili ripetitive – riportando così i parametri alla normalità. Dopo il ritorno ad una situazione più stabile non era più necessaria la presenza costante del medico perché era compito dell’ostetrica monitorare il travaglio. Ma a partire dalle 22:23 il tracciato del battito cardiaco si rivelava di nuovo allarmante. “In base alla normativa era dunque preciso dovere dell’ostetrica – si legge nella sentenza – rilevare la mutata situazione e segnalarla prontamente al medico di guardia. Nulla di ciò metteva invece in pratica l’ostetrica. Quella che era stata invece annotata era anzi per ben tre volte in un’ora una “cardiotocografia rassicurante”.
“È quindi evidente – continuano i magistrati – che l’ostetrica, errando in modo macroscopico nella lettura del tracciato ctg definito chiaro da tutti i consulenti, non si è accorta del peggioramento delle condizioni del feto ed ha omesso di avvertire la ginecologa, come previsto dal protocollo e dalle normativa sanitaria”. Il mancato accorgimento o comunque, la sottovalutazione del peggioramento della situazione e di conseguenza la mancata richiesta di intervento della ginecologa dunque “costituiscono indubbiamente omissioni gravemente colpose dalle quali è derivato il danno permanente al nascituro”. Se fosse stato effettuato un parto cesareo entro le 23:45, il danno si sarebbe potuto evitare: ma è solo dopo quell’ora che l’ostetrica ha richiesto l’intervento della ginecologa, peraltro senza segnalare l’urgenza.