La compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil ha annunciato di stare rivedendo la sua posizione in Europa alla luce dell’introduzione di una tassa sugli extra profitti (ossia la parte degli utili garantita da circostanze straordinarie come la guerra in Ucraina che ha aumentato i prezzi del gas su valori anomali). La compagnia, la seconda al mondo tra quelle private dopo la britannica Shell, ha chiuso il 2022 con profitti record, a 55 miliardi di dollari. La società ha avviato una causa legale contro l’Unione europea contestandone la capacità impositiva che, a dire di Exxon, sarebbe pertinenza dei singoli stati. Paradossalmente una linea esattamente opposta è quella seguita dalla spagnola Repsol. Il gruppo, presente in Italia con il marchio Esso poi ceduto ad Api, ha detto che investirà sempre di più negli Stati Uniti mentre potrebbe ridimensionare i suoi piani per il Vecchio Continente. E, secondo alcune ricostruzioni, una sconfitta nel contenzioso con l’Ue non dispiacerebbe troppo alla compagnia americana che avrebbe così un pretesto per giustificare il suo disimpegno dall’Europa.

“La tassazione scoraggia gli investimenti“, ha detto l’amministratore delegato Darren Woods aggiungendo che I governi hanno un ruolo importante nella transizione energetica incentivando lo sviluppo di nuove tecnologie energetiche senza compromettere l’offerta di petrolio per soddisfare la domanda mondiale. Penso che potrei descriverlo in modo semplice come un sistema di carota e bastone. Sicuramente potemmo fare un passo indietro e rivalutare quello che stiamo facendo in Europa”. In realtà, negli Usa, la compagnia beneficerebbe anche del maxi piano di sussidi (Inflation Reduction Act) che riguarda anche le iniziative aziendali per la decarbanizzazione.

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