L’università che punisce il merito. Da Bergamo arriva una storia così pesante e surreale da ribaltare l’asse cartesiano di una realtà cui siamo assuefatti. Una vicenda tanto kafkiana da interessare la comunità scientifica internazionale, con potenziali premi Nobel, a partire dall’ex capo dipartimento economia di Oxford, che si spendono perché non passi sotto silenzio, mentre in Italia nessuno la racconta. In breve, è questa. L’Università chiama un docente da Londra per “chiara fama”, individuato tra i professori “stabilmente all’estero”. Dopo 13 anni di docenza, senza mai un addebito, lo caccia via con ignominia accusandolo di aver “mentito” sul fatto di aver proseguito la docenza estera. Due sentenze del Tar dimostrano poi che l’accusa era del tutto falsa, accertano la piena compatibilità dei due incarichi (italiano ed estero), e dispongono l’immediato reintegro. Di più, censurano l’ateneo per un “uso distorto del potere pubblico” e l’adozione di norme regolamentari “parimenti illegittime verosimilmente introdotte ad personam”. L’epilogo della storia è tuttavia ancora da scrivere.
La medaglia del merito ha smesso di girare tra dritto e rovescio, tanto che il tribunale amministrativo è già passato alla quantificazione del danno, ma l’ateneo orobico insiste: bussa ora alla porta del Consiglio di Stato, alimentando così una vicenda che scredita l’università italiana ben oltre i confini nazionali, come sottolinea l’associazione Trasparenza e Merito che la denuncia. Ecco allora la storia di Giovanni Urga, dei suoi “tre anni d’inferno” passati nel pugno di chi in palmo di mano l’aveva richiamato in Italia, tra il silenzio di colleghi per nulla inclini a difenderlo. “E’ successo. – si limita a dire il professore – Ma non deve intaccare la fiducia nei nostri atenei e dei nostri studenti”.
Un cervellone in fuga
La storia inizia nel 2007, quando l’Università di Bergamo spalanca le porte della docenza a un professore potentino che aveva insegnato lì dal 1992 ma aveva poi preso il volo arrivando alla econometria e alla finanza appositamente richiamato dalla Bayes Business School di Londra, dove insegna dal 1999. La chiamata avviene per “chiara fama”, visto il cv chilometrico con PhD all’Università di Oxford, e poi ricercatore al Queen Mary and Westfield College e alla London Business School di Londra. L’operazione è benedetta dai vertici dell’ateneo, che per anni s’ammantano d’aver riportato in Italia un cervellone in fuga che proprio lì aveva insegnato, come docente contratto, dal 1992. Per 13 anni Urga è ordinario di econometria e il suo impegno proietta l’ateneo e i suoi studenti nel consesso scientifico più alto d’Europa, con oltre 70 pubblicazioni con doppia affiliazione, progetti di ricerca finanziati tra l’altro dalla Comunità Europea e la Bank of England, il coinvolgimento di studenti e studiosi in pubblicazione di fascia A, attività e seminari beneficiari di fondi della Bayes Business School a copertura di parte delle spese di viaggio e di permanenza a Londra. La bella storia su cui tanti in Italia metterebbero la firma nel 2020 riserva un improvviso colpo di scena, di quelli kafkiani per cui all’estero ci guardano come marziani, sospirando “ah, l’Italia”.
Dalla “chiara fama” all’ignominia
Il rettore dell’epoca Remo Morzenti Pellegrini cambia idea. “Improvvisamene” scopre la docenza estera, quella per cui, incidentalmente, la stessa università orobica aveva espressamente autorizzato già nel 2007 Giovanni Urga a risiedere a Londra: mette in croce il professore proprio per quelle rilevantissime collaborazioni che gli erano valse la chiamata per “chiara fama”. Avvia addirittura una “indagine” interna nei suoi confronti, “scopre” che insegna ancora a Londra, sostiene l’incompatibilità tra gli incarichi da lui ricoperti in Italia e all’estero, lo accusa persino di aver sottoscritto all’epoca dell’entrata in servizio “dichiarazioni false” per tenere all’oscuro l’università della doppia affiliazione, quella che tanto lustro aveva portato fino ad allora all’ateneo. Urga ha gioco facile a fornire prova del contrario, ma l’ateneo tira dritto costringendolo a rivolgersi al Tribunale amministrativo di Brescia. A novembre 2020 il Tar accoglie il primo ricorso riconoscendo la piena legittimità della sua posizione lavorativa e condannando l’ateneo di Bergamo a pagare le spese legali. La sentenza passa in giudicato, ma il rettorato torna però alla carica: pur di sovvertire la sentenza (così dice il Tar), assieme al Consiglio di Amministrazione cambia per ben due volte i regolamenti universitari prevedendo e rendendo retroattiva l’incompatibilità per chi (puta caso solo lui) si trovi nella situazione di Giovanni Urga. In forza di questo, l’ateneo avvia un provvedimento di decadenza il 10 Febbraio, a poche ore dall’inizio di uno dei tre corsi di Econometrica di cui Urga era titolare, a poche settimane dalla laurea di alcuni studenti e mentre è Presidente della commissione per l’Abilitazione scientifica nazionale e membro di diverse altre commissioni. Gli viene pure bloccato il badge per accedere al Dipartimento di Economia, la mail, il profilo scientifico sul sito Unibg. Le sue attività didattiche vengono oscurate.
“Accanimento accademico”
Non essendo abbastanza, per gli stessi fatti il rettore avvia anche un procedimento disciplinare, rimuovendo taluni dei membri del Consiglio di Disciplina in putativa situazione – ancora una volta – di potenziale “incompatibilità”, e, per la seconda volta, rimuove il già rimosso Giovanni Urga: gli viene inflitta la destituzione nel marzo 2021. Così il docente acclamato e riportato in patria diventa improvvisamente un reietto e non solo a Bergamo, ma agli occhi della comunità scientifica nazionale e internazionale, tanto che l’8 febbraio scorso una decina di docenti e cultori della materia, dall’università del Connecticut al Canada a Parigi, hanno firmato una lettera-appello di solidarietà (scarica) al collega italiano di cui in Italia nessuno parla. Tra gli altri, firma David Forbes Hendry, già capo del dipartimento di economia dell’Università di Oxford. Nel 2021 tre premi Nobel sono stati assegnati proprio a cultori dell’econometria (Joshua Angrist, David Card e Guido Imbens).
Incredulo, Urga torna a bussare al Tar che per la seconda volta gli dà ragione, certifica la legittimità della sua condotta e censura pesantemente l’ateneo per un “uso distorto del potere pubblico”, anche tramite dinieghi illegittimi di accesso agli atti che il docente chiedeva per potersi difendere (motivazione di uno dei dinieghi: Giovanni Urga non ha “accettato” i nuovi regolamenti che lo pregiudicano). Il tribunale specifica anche che l’eventuale “errore scusabile” non c’è: “Al contrario – si legge nella sentenza – gli atti di causa evidenziano l’adozione di una sequenza di atti palesemente contrari alla normativa primaria, posti in essere dall’Università resistente e dal suo rettore pro tempore sulla base di una interpretazione fuorviata e distorta del dato costituzionale, già censurata da questo TAR e volti anche ad aggirare gli effetti conformativi derivanti da quest’ultima decisione, anche mediante l’adozione di norme regolamentari parimenti illegittime e verosimilmente introdotte ad personam, alla stregua di quanto sopra esposto”. Nel mentre, il campo di battaglia si allarga: l’Avvocato di Giovanni Urga, l’amministrativista Fabio Andrea Bifulco di Milano, viene denunciato disciplinarmente per aver sostenuto che talune plurime violazioni della legge non potevano essere casuali, vista la elevata qualificazione del Rettore (professore di diritto amministrativo) proprio nella specifica materia.
Imposto il reintegro, da quantificare il danno
Il Tribunale a quel punto impone l’annullamento di tutta quella congerie di regolamenti/decreti/deliberazioni approvati dal senato accademico e dal cda dell’ateneo di Bergamo “incluso il presupposto del verbale del Consiglio di Disciplina del 23 febbraio 2021”, e impone dunque all’Università di “reintegrare immediatamente il ricorrente nel posto di lavoro nonché a provvedere, entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione della presente sentenza, alla ricostruzione della carriera del ricorrente a far data dall’11 Febbraio 2021, corrispondente alla data di illegittima cessazione del rapporto di lavoro per effetto del provvedimento di destituzione, fino alla effettiva reintegrazione, corrispondendo al medesimo tutti gli emolumenti dovuti per retribuzione e contributi previdenziali e assicurativi, maggiorati di rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo”. Sembra la resa e in effetti a luglio dell’anno scorso il docente torna al suo posto con effetto immediato, sebbene provato da questo calvario dal quale ha subito un danno di immagine, materiale, psicologico e biologico che la semplice reintegrazione non sana (e difatti il Tar ha disposto perizia per quantificare tale danno).
Lieto fine lontano: il rettore insiste (ma non risponde)
Fine della storia? Macché. Il nuovo rettore dell’Università di Bergamo Sergio Cavalieri lo scorso gennaio ha proposto appello al Consiglio di Stato, dando a questa storia arcitaliana ulteriori appigli per produrre sgomento anche all’estero. Raggiunto dal Fatto.it il rettore ha preferito non commentare. “Questa vicenda mi ha profondamente toccato e continua ad amareggiarmi”, dice invece il professor Urga. “Ma non ha scalfito la mia perseveranza e determinazione nello svolgere il mio lavoro con dedizione e rigore. Anche se non è affatto facile, credo che questa brutta vicenda non debba intaccare la fiducia nei confronti dei nostri atenei e dei nostri studenti. Mi ha solo reso più consapevole della necessità che i casi di Mala Università non possano e non debbano restare impuniti”. “Questa storia – gli fa eco Gianbattista Sciré, fondatore di Tra-Me – si inserisce nell’abituale abuso di potere e violazione delle sentenze da parte di molti vertici degli atenei italiani, che piegano leggi e regolamenti interni a proprio uso e consumo. La novità è che il ricorrente ha capito che da soli non si va da nessuna parte e dunque, grazie al suo prestigio scientifico, ha avuto il sostegno di importanti docenti internazionali e ha deciso di fare squadra e utilizzare i canali dell’associazione per rendere pubblica la sua storia, farla arrivare alla stampa, e così potrà essere d’esempio per molti altri”.