Cosa ci cela dietro un progetto vincente? Quali caratteristiche deve avere un team per supportare un artista al Festival? Abbiamo incontrato Marta Donà che ha dalla sua un piccolo record nella storia di Sanremo: è la prima donna manager che ha vinto tre volte la kermesse (due volte con Mengoni e una con i Maneskin)
Nella storia del Festival di Sanremo c’è solo una donna manager che ha vinto tre volte la kermesse: Marta Donà. Nel palmares della manager ci sono tre primi posti: con Marco Mengoni “L’essenziale” nel 2013, poi “Due Vite” nel 2023, con i Maneskin “Zitti e Buoni” nel 2021 e poi con Francesca Michielin il secondo posto nel 2016 con “Nessun Grado di Separazione” e nel 2021 con “Chiamami per nome” con Fedez. FqMagazine ha cercato di indagare cosa si cela dietro un metodo di lavoro, sulla carta, vincente.
Che impressione ti fa ad essere entrata nella storia del Festival?
Non ci avevo mai pensato, a dire il vero, però a prescindere dai numeri e dalla vittoria devo dire che ci sono anche altre colleghe che fanno un lavoro eccezionale. Ad esempio, Paola Zukar che stimo molto che ha portato Madame con un ottimo pezzo e che sta andando bene in streaming. E poi c’è Amadeus che ha rivoluzionato Sanremo.
Qual è stata la sua rivoluzione?
In questi anni ha fatto un lavoro importante anche sulla discografia, a prescindere dal genere e partendo dalla musica e dai testi. È innegabile.
Marco Mengoni ha ricordato l’assenza di donne in Top5, che ne pensi?
Credo che abbia avuto questo pensiero subito dopo la vittoria perché ha sempre avuto alle spalle un team di donne. Quindi è giusto porre attenzione alle artiste donne, al di là del genere. Musicalmente è accaduta questa cosa importante e personalmente ritengo che non c’erano brani che non meritassero la cinquina.
È un fenomeno solo italiano?
Sì perché all’estero ci sono donne in cima alle classifiche come Taylor Swift o Miley Cyrus. Però sono fiduciosa, con la rinomata lentezza italiana ci stiamo arrivando anche noi a una affermazione al femminile. Questo accade già in alcune piattaforme digitali come Spotify con Spotify Equal che promuove l’equità di genere nella musica.
Perché ci sono poche donne nella discografia e nel management?
Io mi soffermerei più sulle professionalità del singolo. Per questo a Sanremo ho organizzato due pranzi con donne e uomini provenienti da diversi settori da Veronica Diquattro (CEO Global Market, Board Member di Dazn) a Giulia lizzoli (Music partnership manager TikTok), da Sara Calani (Digital Marketing Manager, Creative, Project Management The Walt Disney Company – Marketing Studios) a Paola Balestrazzi (Head of A&R Sony Music Publishing Italy)
solo per citarne alcuni. Il mio principio, a prescindere da quello che la mia società La Tarma fa, è quello della collaborazione, mi piace quando avvengono scambi di pensieri e idee tra persone diverse.
A proposito della tua società, siete tutte donne. Ancora non hai trovato ‘l’uomo giusto’?
(Ride, ndr) a parte che nel mio team ho Carlo Lenotti che ha una sua società, la Comunicarlo, ed è il mio braccio destro, sinistro, il mio fianco, la mia spalla e tutto. Sto facendo dei colloqui perché stiamo allargando la divisione Records e Entertainment. Casualmente le donne, per competenza e attitudine, sono in pole position. Io mi baso solo su quei requisiti.
Come avete strutturato il progetto di avvicinamento al Festival per Mengoni?
In realtà non era nei piani. Stavamo lavorando al disco e su ‘Due Vite’ Marco si è soffermato e ha alzato la mano: ‘forse questa canzone meriterebbe di essere presentato al Festival’. Ho sposato il suo spirito con quello che faccio sempre: andare a rafforzare la missione dell’artista.
E qual era?
Anzitutto dare la possibilità al brano di essere performato al meglio sul palco dell’Ariston. Poi l’attitudine giusta di consapevolezza e privilegio di trovarsi con altri colleghi ed amici, come Giorgia. ‘Se c’è anche lei non posso non esserci anche io‘, ha detto Marco, esprimendo una grande stima nei suoi confronti.
Come sono nati gli altri progetti collaterali al Festival?
Il Lido Mengoni a Sanremo rappresentava appieno lo spirito dell’artista con il quale collaboriamo. Marco mi ha detto ‘non voglio salire sul palco da solo, ma voglio portare tutto il mio team’. Dieci anni fa quando siamo arrivati a Sanremo con ‘L’essenziale‘ eravamo solo io e lui, lui ed io. Il Lido era una idea perfetta di aggregazione, trasmetteva l’idea di lentezza e dello stare in pace con il proprio tempo, senza correre. Così abbiamo pensato di prendere questo spazio-hub per tutto il team e non solo. Al Lido sono passati anche tantissimi altri artisti da Fedez ai Coma Cose fino agli Eugenio in via di Gioia e Renzo Rubino che hanno pure suonato.
Progetti risultati vincenti alla fine…
Siamo spinti da gioia, emozione e sentimento. Sono orgogliosa del mio team che lavora in maniera propedeutica ad un obbiettivo mai scontato. Non ho mai pensato alla vittoria né quando siamo andati con i Maneskin né con la Michielin. C’era solo il privilegio di salire su quel palco.
Qual è la domanda che un bravo manager deve farsi?
Il mio mantra è: valore aggiunto. Ossia in che modo possiamo essere valore aggiunto ad un progetto che sia musica, cinema o serie tv? Bisogna ascoltare l’artista. Io passo molto tempo in ufficio da Cattelan per confrontarci, vado in studio da Mengoni ad ascoltare le sue canzoni in silenzio assoluto. Quando Marco ci ha detto che voleva raccontare a Sanremo il suo viaggio tra il conscio e l’inconscio con ‘Due Vite‘, abbiamo ascoltato quanto voleva dire per assorbire come spugne e trasformare gli input in comunicazione.
Quanto l’immagine è importante nella musica?
Fondamentale. Lo era anche quando ho iniziato a far questo mestiere e non c’erano Instagram e TikTok. Dieci anni fa per ‘L’essenziale’ a Sanremo, Mengoni disegnò assieme a Ferragamo le linee dei suoi abiti, in modo che riflettessero nei tessuti e nei disegni un concept che fosse coerente con la canzone. Così abbiamo fatto con ‘Due Vite’ e Versace, siamo andati alla ricerca del look e dei pezzi originali della casa di moda di fine Anni 80 e inizi 90, l’epoca a cui musicalmente si è ispirata la canzone. Infine, altro esempio, ‘Materia Terra‘ era un disco tutto suonato e d’accordo con Marco abbiamo voluto ricreare per la presentazione dell’album, un club di New Orleans Anni 70. Sull’onda di questo concept abbiamo lavorato anche in verticale anche per il booklet, la cartellonistica live e tutto il resto.
Di te dicono in giro che sei una tosta, un serial killer, tenace e spietata. Quanto c’è di vero?
Oddio serial killer mi mancava (ride, ndr). Tosta sicuramente e in ufficio ci scherziamo anche su. Do tantissimo, ma pretendo tantissimo dalle persone che lavorano insieme a me. Ho sempre bisogno di imparare cose nuove e lavorare su cose nuove sia dagli artisti che da chi lavora con me. Così accade che anche quando ci interfacciamo all’esterno io pretenda grande professionalità, attenzione e cura al dettaglio. Credo sia importante anche perché abbiamo una responsabilità importante nei confronti degli artisti con cui lavoriamo. Però intendiamoci, preferisco chi sbaglia perché vuol dire che non sta mai fermo, impara ed alza l’asticella, rispetto a chi non sbaglia mai. E poi ci sono anche i discografici ai quali rompo le palle (ride, ndr) pretendo, faccio mille domande e ne faccio altre mille se non mi danno risposte.
C’è un errore che hai fatto o qualcosa che hai fatto male, di cui ti penti?
Fatto male no, per fortuna. Ho il mio carattere cerco di far valere il mio pensiero, ma lo faccio nell’ottica di cosa possa essere meglio per l’artista. Per questo principio mi sono battuta spesso contro tutto e tutti. Dopo la maternità però ammetto che ascolto molto di più. Inoltre ormai capisco tutto dagli occhi e dallo sguardo dei miei artisti. Gli artisti per me sono dei figli che hanno bisogno di protezione e tutela, voglio sempre il loro bene ed è il mio obiettivo.
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questo lavoro?
Di avere tanta curiosità, di non soffermarsi mai alla superficie. Non basta avere una hit, ma bisogna perseverare, costruire un percorso un pezzetto alla volta e avere una visione complessiva del progetto. Marco Mengoni ha voluto me perché lui sostiene che io non mi soffermo a guardare quello che c’è oggi, domani o dopodomani. Ma mi spingo su una visione da costruire e realizzare, lunga anche cinque anni.