Dopo 11 anni di cadute e rinascite, passaggi societari, tante sconfitte e uno scudetto storico, il Milan è tornato a casa. In Champions League, il suo habitat naturale. Fra le prime otto d’Europa. La squadra di Stefano Pioli esce indenne da Londra. Difende senza nessun affanno l’1-0 di San Siro. Elimina il piccolo club di Antonio Conte, che si conferma per l’ennesima volta allergico, forse semplicemente inadatto, alle coppe. È nei quarti di finale di Champions.
Lo 0-0 in terra inglese vale come una vittoria. Anche di più. Per la maturità di una squadra, che non più di un mese fa sembrava completamente allo sbando, quasi a fine ciclo, e invece si è ritrovata al punto di superare in scioltezza l’esame più difficile. Per la prestazione di Tomori, Kalulu e anche del giovane Thiaw, la scommessa vinta di Pioli, una difesa perfetta in grado di sterilizzare completamente gli schemi di Conte e i suoi grandi campioni, Kane e Son, mai pervenuti. È mancato solo il gol, e Leao, che prosegue la sua involuzione. C’è tempo fino ai quarti per ritrovarli.
Per Tottenham e Milan – deludenti in campionato, aggrappati alla coppa – era un po’ un’ultima spiaggia. Ci arrivavano in maniera simile, l’hanno affrontata diversamente. Conte in formazione tipo, coi suoi tipici movimenti a elastico fra le punte, che però il Tottenham non ha mai assimilato fino in fondo. Pioli l’ha studiata a fondo, con più di una variazione sul tema. Krunic al posto del convalescente Bennacer, Brahim Diaz recuperato ma nell’insolita posizione di mezzala, Leao quasi da punta davanti a Giroud. E soprattutto l’approccio giusto. Nessun timore reverenziale. La pressione della rimonta è tutta sulle spalle degli inglesi, impacciati, imprecisi. Il Milan non paga dazio ai sessantamila del New White Hart Lane. Uno schema su punizione libera Messias al tiro, ma sul piede sbagliato: l’episodio è degno di nota solo perché letteralmente l’unica (mezza) occasione del primo tempo.
Dalla concentrazione del Milan, la confusione del Tottenham e l’importanza della posta in palio viene fuori una gara chiusa, proprio brutta. Ma non sta ai rossoneri badare all’estetica. La squadra di Pioli è dentro la partita, il Tottenham di Conte si è perso chissà dove. Infatti al rientro dagli spogliatoi, nonostante i propositi bellicosi dei padroni di casa, un’altra chance – stavolta gigantesca – capita sui piedi di Brahim, che vince un rimpallo e si ritrova davanti al portiere, ma lì si ferma. Poi toccherà a Leao, ancora a Diaz, Tonali.
Gli inglesi vorrebbero ma proprio non possono. All’ora di gioco producono il massimo sforzo, cioè un minimo di continuità nella sterile pressione offensiva. Davvero troppo poco. Quando Romero si prende il secondo giallo che vale una meritata espulsione, è quasi finita. Quasi, perché in Champions può succedere di tutto. Nel recupero il Tottenham costruisce in inferiorità numerica l’occasione che non era riuscita ad avere in 180 minuti tra andata e ritorno: un colpo di testa di Kane su calcio piazzato, salvato da Maignan. Sul ribaltamento di fronte Origi appena entrato colpisce un palo clamoroso. Niente, il punteggio non si sblocca ma va bene così. Il Milan di Pioli, che ha già abdicato in Italia, è tornato grande in Europa.