Gli ex dirigenti della banca sono accusati di avere falsificato i bilanci per celare i disavanzi. Per tre di loro c'è anche l'accusa di maltrattamenti, lesioni personali ed estorsione: avrebbero "esautorato il chief risk manager, mediante la minaccia di perdere il posto di lavoro e ponendo in essere condotte vessatorie"
Falso in bilancio, aggiotaggio, estorsione: sono 23 i capi d’imputazione contestati agli ex vertici della Banca popolare di Bari (Bpb) ai quali oggi la Procura barese ha fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Dieci gli indagati a cui sono contestati, a vario titolo, 15 episodi di falso in bilancio, uno di aggiotaggio, uno di estorsione, maltrattamenti e lesioni, e i restanti sei per ostacolo alla vigilanza della Consob e di Bankitalia.
L’atto è stato notificato a Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, rispettivamente ex presidente ed ex vice dg della Bpb, a Vincenzo De Bustis Figarola, ex dg ed ex Ad della banca, Giorgio Papa, ex Ad, Roberto Pirola, ex presidente del collegio sindacale, e agli ex dirigenti Elia Circelli, Giuseppe Marella, Gregorio Monachino, Nicola Loperfido e Benedetto Maggi.
Tre dei dieci indagati ai quali è stato notificato l’avviso di conclusione dell’inchiesta sulla Banca popolare di Bari, sono accusati di maltrattamenti, lesioni personali ed estorsione. Le ipotesi di reato sono state contestate dalla procura di Bari a Marco e Gianluca Jacobini e a Vincenzo De Bustis Figarola “per avere in concorso tra loro e con altri per i quali si procede separatamente, esautorato il chief risk manager, mediante la minaccia di perdere il posto di lavoro e ponendo in essere condotte vessatorie”. Secondo quanto contestato nell’avviso di conclusione, gli indagati lo avrebbero “escluso da tutte le riunioni dei vertici della Banca popolare di Bari aventi a oggetto le operazioni di valutazione del rischio rilevante, sulle quali poteva esercitare il diritto di veto”. E avrebbero esercitato “pressioni e intimidazioni” e lo avrebbero “privato di qualsivoglia mansione lavorativa, generando nello stesso un senso profondo di umiliazione professionale e personale, tali da cagionargli una sindrome da disturbo post-traumatico reattivo a eventi lavorativi stressanti”, così come “evidenziato nelle due relazioni rilasciate dalla Asl di Taranto”. La contestazione è relativa al periodo compreso tra ottobre 2013 e il 27 aprile 2016.
Le contestazioni di falso in bilancio fanno riferimento, tra l’altro, all’omessa svalutazione degli avviamenti per le società Tercas-Cassa di risparmio della Provincia di Teramo e Banca Caripe spa per 32,4 milioni nel 2016 e per 82,5 milioni nel 2017 “al fine di occultare le perdite”. E poi l’omesso accantonamento in bilancio di 42 milioni, somma da versare ai creditori, al fine di attestare nel bilancio 2016 un utile ritenuto inesistente. Nel bilancio del 2017 sarebbe stata poi indicata un’apparente liquidità di 500 milioni derivante da un’operazione di cartolarizzazione e dall’entrata nel fondo della finanziaria Chariot funding llc, dalla quale Bpb uscì subito dopo l’approvazione del bilancio, il 5 gennaio 2018, “così da far apparire in bilancio una liquidità inesistente”.
Nei bilanci del 2016, 2017 e 2018 gli indagati sono accusati di non aver contabilizzato alla voce ‘Rettifiche per rischio di credito’ rispettivamente le somme di 490 milioni, 506 milioni e di 542 milioni. Altre contestazioni di falso in bilancio riguardano la registrazione nei consuntivi di imposte anticipate di perdite fiscali “al fine di occultare le perdite”, la registrazione nel consuntivo della partecipazione al Fondo Atlante per 24 milioni, in realtà il valore reale era di gran lunga svalutato, ma – secondo l’accusa – fu utilizzato dalla banca per far apparire in bilancio un utile che in realtà era inesistente.