Cosa sta succedendo a Porto Rico? L’isola dell’incanto, così come è conosciuta questa terra paradisiaca nel Mare dei Caraibi, sta vivendo un processo accelerato e intensivo di gentrificazione con il conseguente sfollamento coatto di centinaia di “boricuas” dalle zone dove sono nati e cresciuti (boricua è un termine utilizzato per definire una persona nata o cresciuta a Puerto Rico).

Gentrificazione non è una parola così comune (almeno per chi non si occupa di fenomeni sociali) ma è entrata ufficialmente nel nostro vocabolario (Zanichelli) già nel 2013: “Nei centri urbani, trasformazione di un quartiere popolare in quartiere signorile ottenuta risanando la zona e ristrutturando vecchie abitazioni, con conseguente aumento del valore degli immobili e degli affitti e cambiamento del tipo di popolazione”. A leggerla così parrebbe quasi un’azione nobile, ma in realtà nasconde una spietata speculazione sulla pelle di uno strato sociale della popolazione da sempre abbandonato dallo Stato e che in ultima istanza viene sacrificato a favore del mercato e della famosa legge della domanda e dell’offerta.

Ma torniamo dunque a Porto Rico e cerchiamo di capire nel dettaglio quanto denunciato, per esempio, della giornalista indipendente Bianca Graulau, boricua fino al midollo, che da tempo offre al pubblico reportage dettagliati e rigorosi che pongono di manifesto come le autorità dell’isola stiano favorendo la depredazione delle risorse comuni a favore di grosse compagnie d’investimento, energetiche o immobiliari.

Il caso emblematico riguarda per esempio la legge 60 per i servizi di esportazione e commercio e per gli investitori individuali (già nota come Legge 20/22) promossa dal governo degli Stati Uniti d’America: legge che trasforma l’isola in un paradiso per investimenti esentasse di ricchi stranieri. Bianca ha denunciato, con il suo lavoro di giornalismo d’inchiesta, come questa nuova ondata di colonialismo statunitense stia avendo conseguenze drammatiche per la popolazione, come ad esempio la gentrificazione di aree come il quartiere di Puerta de Tierra (zona popolare della capitale San Juan), la chiusura di fatto di alcune spiagge pubbliche (tra le più belle dell’isola) e la concessione di servizi di base con contratti milionari, come l’energia elettrica, a compagnie straniere (come nel caso di Luma Energy).

Reportage, quelli di Graulau, che non hanno lasciato indifferente il pubblico, tanto da attirare l’attenzione anche di Benito Antonio Martínez Ocasio, il rapper boricua 28enne noto al grande pubblico con il nome d’arte di Bad Bunny. Il famoso cantante ha infatti offerto un’alleanza alla preparata e talentuosa giornalista, lanciando in coppia il documentarioEl Apagón – Aquí Vive Gente” (Blackout, qui vivono persone). Un video di 23 minuti nel quale Benito apre la scena con alcune strofe in musica, lasciando poi quasi subito lo spazio a Graulau che ci guida alla scoperta di quello che realmente sta succedendo a Porto Rico.

Un progetto giornalistico d’avanguardia, perché il giornalismo si fa dove la gente ti ascolta, ripete Bianca nelle sue interviste e nei suoi podcast – e i numeri sembrano darle ragione. Il video a soli 5 mesi dal suo lancio ha già più di 12 milioni di visualizzazioni e la stessa Graulau ha sbancato sui social media (TikTok, Instagram, Twitter, YouTube) sommando quasi un milione di followers in totale. Il suo contenuto si può ascoltare in spagnolo e in inglese (lei si è laureata in giornalismo a New York) e sicuramente questa reporter indipendente può essere considerata oggi a pieno diritto una delle voci più ascoltate di Porto Rico.

Orbene, per capire quanto sta succedendo nell’isola caraibica (oltre ad ascoltare Bianca Graulau) è necessario fare un passo indietro e comprendere quale sia lo status politico amministrativo di Porto Rico. Stiamo parlando di una delle “gemme della corona spagnola” durante il periodo coloniale, un luogo che fu depredato e sfruttato massivamente durante il periodo della conquista, dove la popolazione indigena venne trucidata e dove fu fiorente il mercato della tratta degli schiavi.

Questa è l’eredità lasciata dal Regno di Spagna, che nel 1898 (dopo più di 4 secoli) dovette cedere lo scettro del comando dell’isola agli Stati Uniti d’America dopo le guerre ispano-statunitensi (che oltre alla sconfitta di Porto Rico determinarono anche la perdita della sovranità spagnola su Cuba e sulle Filippine). Da quel momento la sfera d’influenza statunitense sull’isola non è mai cessata e oggi Porto Rico è un territorio non incorporato degli Stati Uniti, cioè un Commonwealth Usa con status di autogoverno.

Questa unica e particolare forma di associazione con il gigante nordamericano ha creato forti distorsioni in termini politici, economici e sociali e ha generato nel tempo poli opposti che spingono verso la definitiva “fusione” con gli Usa o verso l’indipendenza. Questa annosa e tesa situazione sembra però arrivata ad un punto di svolta definitivo. Sì, perché a dicembre scorso, per la prima volta nella storia, la camera bassa degli Stati Uniti d’America ha approvato la celebrazione di un referendum vincolante nell’isola dell’incanto (a celebrarsi il 5 novembre 2023) nel quale la popolazione di Porto Rico dovrà scegliere se vuole diventare il 51esimo stato degli Usa, rimanere uno Stato sovrano associato o optare per la piena indipendenza.

Comunque vada questa votazione, sarà la prima volta che Washington accetta di dare corso vincolante al risultato (vari referendum su questo argomento si erano celebrati in passato sull’isola) e a posteriori dovrà essere redatta una nuova Costituzione che dovrà essere accettata dall’elettorato e dal presidente Usa.

L’inizio insomma di una nuova era che però apre scenari complessi (per ognuno dei tre risultati) mentre la speculazione economica galoppa e gli abitanti dell’isola, non ancora completamente ripresisi dagli uragani Maria (settembre 2017) e Fiona (ottobre 2022), lottano per non far diventare la loro terra un nuovo luna park a cielo aperto per facoltosi gringos a caccia della versione moderna del tanto romantizzato (da loro) “Far West”.

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