“Non vi è dubbio che il Presidente del Consiglio, i ministri e i consulenti scientifici non hanno il possesso del virus né lo hanno diffuso e l’aver omesso, secondo l’assunto di una parte dei denuncianti, anticipati provvedimenti di contrasto e di prevenzione, non integra la condotta sanzionata dall’articolo 438 epidemia”. Sono poche righe ma “pesantissime” quelle che si leggono nel provvedimento con il quale il Tribunale dei Ministri di Roma ha archiviato l’ex premier Giuseppe Conte e i ministri del suo secondo governo, che a vario titolo, avevano firmato provvedimenti durante la fase emergenziale della pandemia di Covid. Un non luogo a procedere che riguarda gli ex ministri Roberto Speranza (Salute), Luciana Lamorgese (Interno), Lorenzo Guerini (Difesa), Luigi Di Maio (Esteri), Roberto Gualtieri (Economia) e Alfonso Bonafede (Giustizia). Ed è proprio questa considerazione dei giudici romani a rappresentare un precedente sulla stessa materia e sugli identici reati, non di poco conto, rispetto all’impianto accusatorio dei pubblici ministeri di Bergamo che nei giorni scorsi hanno notificato 19 avvisi di garanzia, spedito gli atti al Tribunale dei ministri di Brescia (per Conte e Speranza) e inviato alla procura di Roma le posizioni dello stesso Speranza e di altre due ex ministre della Salute, Beatrice Lorenzin e Giulia Grillo, per il caso del mancato aggiornamento del piano pandemico.

E come riportato dal Fattoquotidiano.it proprio il reato di epidemia colposa contestato trova una difficile applicazione ai fatti di Bergamo perché si tratta di “reato a condotta vincolata”. I politici e i tecnici indagati, però, non sono accusati di aver “diffuso” il virus del Covid con una condotta attiva. Bensì di quello che tecnicamente si chiama reato omissivo: cioè di “non aver impedito” una diffusione già in atto, pur avendone l’obbligo. I pm imputano agli indagati di essersi limitati a proporre o di aver provveduto in ritardo o aver valutato che una misura non fosse già necessaria. La Cassazione, però, in passato sul punto ha escluso che il reato di epidemia possa esistere nella forma omissiva. Ma oltre la giurisprudenza – di cui solitamente si tiene conto soprattutto se si tratta della Suprema corte – i giudici romani spiegano che “non è (…) possibile ipotizzare e individuare violazione di regole cautelari generiche o specifiche nell’operato del Governo nel periodo preso in considerazione dalle denunce”. Periodo in cui la valutazione “degli interessi in gioco non poteva che basarsi da un lato su dati epidemiologici incompleti, spesso non ancora sistematizzati e fatalmente imprecisi, e dall’altro su una percezione progressiva confusa e caotica delle ricadute negative soprattutto sul piano economico, delle misure restrittive adottate. In tale situazione non è neppure astrattamente ipotizzabile”. Inoltre, è stato osservato, “è ragionevole ritenere che un lockdown anticipato non avrebbe avuto l’effetto di evitare l’epidemia, che non può quindi ritenersi provocata dai rappresentanti del Governo”. Le cui scelte sono state ritenute di carattere politico e quindi da “sottrarre” alla valutazione della magistratura. Gli inquirenti, guidati da Antonio Chiappani, contestano invece che una serie di condotte (dalla mancata istituzione della zona rossa e dell’aggiornamento del piano pandemico) che hanno portato a far sì che il coronavirus Sars Cov 2 dilagasse mietendo vittime con progressione quasi geometrica.

Infine, ma questi aspetti non sono contestati a Bergamo, il Tribunale dei ministri archivia anche le accuse sollevate da chi ha ritenuto che il decreto legge utilizzato spesso in pandemia fosse un abuso: “Infondate sono le denunce che prospettano svariati reati come conseguenza di un abuso degli strumenti normativi del decreto legge e del Dpcm da parte del governo… Al di là delle opinioni sul merito di tali approfondimenti ciò che rileva in questa sede è che tali valutazioni (contrarie all’utilizzo del decreto legge, ndr) hanno carattere strettamente politico e che la decisione del governo in merito alla tipologia di atti normativi da adottare non è scelta sindacabile in sede penale”. Nel decreto di archiviazione le conseguenze di questo ragionamento sono evidenziate con cura. Sostengono i giudici che le scelte politiche intraprese in quel complicato periodo fossero insindacabili: “In ragione della chiara natura politica delle scelte operate dai rappresentanti del governo e delle misure nel tempo adottate bene può ritenersi come le stesse siano riconducibili nella nozione dell’atto politico in senso stretto e quindi sottratte alla valutazione del giudice penale e soggetto, piuttosto, sia con riferimento alla loro tempestività che al loro contenuto ad un controllo del Parlamento cui in buona sostanza spetta il sindacato politico sull’operato del governo”. Ora per quanto riguarda l’indagine bergamasca la parola, dopo la richiesta di rinvio a giudizio che ancora non è stata inoltrata, la parola passerà al giudice per l’udienza preliminari che tra le possibilità avrà quella di mandare a processo o anche prosciogliere. Del resto lo stesso procuratore capo di Bergamo in una intervista aveva detto: “Stando alla Cassazione, c’è un problema di configurabilità, ne siamo pienamente consapevoli. (…) Magari qualcuno sarà prosciolto, qualche posizione sarà archiviata, o magari i giudici riterranno che sull’epidemia colposa non si debba procedere”.

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