Pochi se ne sono accorti, ma recentemente la Commissione europea ha pubblicato un’interessante relazione sull’ “attuazione delle politiche ambientali 2022 nei Paesi della Ue” (Com 2022, 438 final) che illustra lo stato di avanzamento dell’applicazione del diritto ambientale dell’Ue con specifico riferimento agli obiettivi adottati nel piano d’azione per l’inquinamento zero (oggetto di altra quasi contemporanea relazione, Com 2022, 674 final). Diciamo subito che, in realtà, i dati forniti si basano prevalentemente sulle relazioni inviate dagli Stati membri e pertanto vanno presi con beneficio di inventario.

Tuttavia alcune conclusioni appaiono certamente interessanti. In primo luogo, il dato complessivo secondo cui oltre il 10 per cento dei decessi prematuri nell’Ue ogni anno è ancora riconducibile all’inquinamento ambientale, specie con riferimento all’inquinamento atmosferico, all’inquinamento acustico e all’esposizione a sostanze chimiche colpendo in misura maggiore le persone più vulnerabili (bambini, anziani e persone che soffrono di asma o di altre malattie respiratorie o cardiovascolari) e meno abbienti.

Più in particolare, per l’inquinamento atmosferico la Commissione rileva che, se pure si è ottenuto qualche progresso, il totale degli anni di vita persi ogni 100mila abitanti nell’Ue è passato da 820 (2015) a 762 (2019) per il Pm2,5 e da 157 (2015) a 99 (2019) per il NO2 aggiungendo che, se si attuasse pienamente la normativa Ue attuale e proposta, l’Unione ridurrebbe il numero di decessi prematuri dovuti all’inquinamento atmosferico di oltre il 55 per cento nel 2030 rispetto al 2005.

Così come per un inquinamento troppo spesso sottostimato, quale quello acustico, la Commissione evidenzia che il rumore ambientale è la seconda causa di decessi prematuri dopo l’inquinamento atmosferico, con 48mila nuovi casi di malattie cardiache l’anno nell’Ue anche se i danni alla salute sono rimasti piuttosto stabili dal 2012. La situazione appare migliore per l’inquinamento idrico anche se la Commissione riconosce che molte situazioni ci sfuggono perché i controlli sono insufficienti. Alcuni Stati membri ancora non hanno adottato i piani di gestione dei bacini idrografici e notevoli carenze si evidenziano nel controllo delle acque di fognatura.

Purtroppo, non si può dire altrettanto per la situazione rifiuti dove venti Stati membri devono ancora varare i piani nazionali e/o regionali di gestione e di prevenzione dei rifiuti; nonostante la parola d’ordine sia la prevenzione (produrre meno rifiuti), negli ultimi dieci anni i rifiuti di imballaggio sono addirittura aumentati del 19 per cento; così come, con la eccezione di soli cinque Paesi, dal 2014 i rifiuti urbani sono passati da una media di 478 kg pro capite a 505 kg. E anche il riciclaggio resta “problematico”, in violazione degli obblighi comunitari secondo cui discariche e inceneritori-termovalorizzatori dovrebbero gradualmente diminuire.

E appare utopistico il raggiungimento degli obbiettivi comunitari secondo cui entro il 2030 l’Ue dovrebbe ridurre del 50 per cento i rifiuti di plastica in mare, del 30 per cento le microplastiche rilasciate nell’ambiente, del 50 per cento i rifiuti urbani residui e in modo significativo la produzione totale di rifiuti. E anche sull’economia circolare, a fronte di una media Ue del 12,8 per cento, l’uso di materiali secondari oscilla dall’1,3 per cento in Romania al 30,9 per cento nei Paesi Bassi. Lo stesso vale per la produttività delle risorse, dove la media Ue è di 2,09 eur/kg, ma i valori nazionali vanno da 0,3 eur/kg in Bulgaria a 5,89 eur/kg nei Paesi Bassi.

Rinviando, per i particolari e per approfondimenti, ai due documenti citati, di particolare interesse appaiono le conclusioni della Commissione, la quale premette che le tre crisi ambientali concomitanti – inquinamento, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità – sono profondamente interdipendenti e che il passaggio a un modello economico pulito, circolare e a impatto climatico zero sta diventando sempre più urgente, sia per l’Ue sia per il resto del mondo.

Tale passaggio, tuttavia, è ostacolato da diversi fattori, tra cui l’attuale crisi economica ed energetica causata dalla guerra in Ucraina e la persistenza della pandemia di Covid-19, per cui alcune misure di riduzione e controllo dell’inquinamento stanno fallendo a causa delle interruzioni della catena di approvvigionamento. Occorre, quindi, trovare dei modi per superare queste criticità, ad esempio aumentando l’autonomia strategica aperta dell’Ue e accelerando in modo significativo la diffusione dell’energia rinnovabile pulita.

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