Povero Mancio. Abituato da calciatore a giocare al fianco di Gianluca Vialli e Christian Vieri, viziato da allenatore da presidenti mecenati che gli mettevano a disposizione i migliori centravanti sul mercato, da Adriano a Ibrahimovic, passando per Balotelli, Drogba e Aguero, adesso si ritrova a mettersi le mani nei capelli, tormentare il suo proverbiale ciuffo argentato, e passare settimane a ravanare nelle categorie inferiori e nei campionati più improbabili per trovare uno straccio di punta decente per la nazionale azzurra. Prima era un problema, adesso è un autentico dramma: il calcio italiano non produce più attaccanti. Le ultime convocazioni lo dimostrano: l’Italia si è ridotta a chiamare Mateo Retegui, oriundo pescato in Argentina, dove ha segnato 6 gol in 6 partite in quest’inizio di campionato con il Tigre, o addirittura Andrea Compagno, bomber in Romania con lo Steaua Bucarest dopo qualche trascorso tra Serie D e San Marino. È vero che Mancini ci ha abituato con le sue convocazioni “visionarie” ad anticipare ormai le indicazioni dei club, anche un po’ per necessità (i vari Zaniolo, Raspadori, Gnonto, sono tutti un po’ delle sue scoperte), ma qui ormai siamo oltre lo scouting: se basta segnare una manciata di reti in campionati di secondo o addirittura terzo livello per essere presi in considerazione per la nazionale, significa che il livello di questa nazionale è davvero basso.
Non c’è più niente da nascondere, nessuna apparenza da salvare. Pure il ct lo ammette candidamente, in una recente intervista in cui si diceva seriamente preoccupato, riepilogando la lista dei vari attaccanti a disposizione. Come dargli torto, il quadro è desolante: Immobile, dopo aver tirato la carretta per anni (più quella della Lazio che della nazionale, in realtà), sta vivendo la sua prima stagione negativa; il suo vice Belotti è una riserva della Roma, con l’attitudine di un mediano. I due migliori talenti, Scamacca e Pinamonti, si sono schiantati al primo impatto di una realtà più importante, segnando la miseria di tre reti a testa con West Ham e Sassuolo. Raspadori, golden boy in azzurro, è relegato in panchina nella stagione d’oro del Napoli, appena 7 presenze da titolare e un gol. Prematuro anche solo sperare in Lorenzo Colombo (classe 2002, 4 gol a Lecce), e Simone Mulattieri (in doppia cifra in B al Frosinone, ma è già un 2000). Non c’è altro. Se non appunto Retegui, Compagno e avanti coi prossimi carneadi. Di questo passo persino la mancata convocazione di Cheddira, passaporto italiano, gol a raffica in B e C col Bari ma ai Mondiali col Marocco, rischia di diventare un rimpianto.
La grande scuola italiana dei numeri nove si è davvero esaurita? Difficile dirlo, il calcio è fatto di cicli, certo è che si è presa come minimo un ciclo sabbatico, forse più. Agli Europei 2016, in fondo, Conte aveva fatto miracoli presentandosi in attacco con Pellè, Eder e Zaza, segno che la crisi va avanti da tempo. Senza rimpiangere i miti del passato, Gigi Riva e Paolo Rossi, Vieri e Inzaghi, Schillaci e Toni, oggi non ci sono nemmeno i bomber di provincia, i vari Hubner, Riganò, Di Natale, Zampagna. In Italia non si segna più, anche perché si gioca in generale un calcio senza talento, visto che pure nell’altro ruolo chiave, il 10, non produciamo niente di significativo da anni. In un campionato che pratica logiche, schemi e ritmi vecchi, dove non c’è spazio per i giovani. Gli ultimi scampoli di talento puro, sprecati malamente, sono stati quelli di Cassano e Balotelli, poi nulla. Come l’Italia: un Europeo vinto per caso nel 2021, prima e dopo spariti dal panorama mondiale. A leggere la prossima formazione, viene quasi da perdonare Mancini.