La lista dei candidati a miglior film vede in nomination The Fabelmans di Steven Spielberg, Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh, Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh, Elvis di Baz Luhrmann
Forse non l’avete ancora capito. Ma Everything everywhere all at Once, diretto dai The Daniels (due tizi che sembrano usciti da Zoolander di Stiller) sbancherà gli Oscar 2023. Pensate, questo ridicolo guazzabuglio che adopera l’espediente formale del multiverso – le altre vite che avresti potuto vivere ma non hai vissuto – come foglia di fico per una clamorosa mancanza di cinema, verrà glorificato come il film più importante dell’anno. Coda insegna. Oramai non c’è peggior Oscar di quelli conferiti per meriti modaioli e ideologici. Oltretutto nell’epoca della filosofia debole e fiacca dell’immagine come frammento che senso ha opporsi con la tradizione dei classici? Tanto vale inabissarsi sulla poltroncina al primo cambio di mondo quando i due lavandai cinesi californiani in procinto di divorziare, davanti alla cattiva funzionaria delle tasse si trasformano in ninja dal contundente marsupio di marmo. Ed è solo il primo dei mondi alternativi: c’è quello in cui la protagonista Evelyn (Michelle Yeoh, a proposito Oscar pure per lei, figuriamoci) rimane in Cina e diventa una star del cinema di arti marziali, c’è quello dell’amore con la funzionaria delle tasse, poi c’è pure una roba da mettere mano alla pistola, un postmodernismo d’accatto che doveva essere denunciato alle autorità federali: improvvisamente la protagonista ha le dita a forma di hot dog come pure gli scimmioni di 2001 che le scuotono al posto delle celebri ossa. Ciao Stanley (Kubrick), insomma. Amici Daniels, davvero, siete pure al secondo film (e nel primo c’era Daniel Radcliffe morto che scorreggiava) e questo proliferare di trasformazioni di mondo (che gira e rigira sempre davanti a quelli squallidi oblò rimangono), di saltabeccare di generi, come dice cortesemente il New Yorker è tutto un “eccesso di capricci che tenta di nascondere la vacuità del film”. Insomma, non avrebbe senso nemmeno proseguire. Ma tant’è, ecco l’onor di firma.
The Fabelmans di Steven Spielberg, un’opera encomiabile, perfetta, insuperabile, forse sì il canto del cigno della classicità hollywoodiana. Idem sentire per un gioiello che non incontreremo più per strada nel futuro (mentre i The Daniels imperverseranno con altri multiversi scorreggioni o addirittura gireranno ALTRO!) ovvero Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh: quando la tragicomica fine di un’amicizia prende le pieghe di una drammaturgia surreale sul senso del cosmo. La coppia Farrell/Gleeson è monumentale, ma niente. Un universo solo, quello di un simbolico isolato lembo di terra irlandese, cosa volete significhi mai di fronte alla possibilità di crearne altri dodici e infilarli tutti nello stesso film? Continuiamo.Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh. Non so, l’avete visto? Sta dietro a EEAO? No, ma fate voi. Dimentichiamoci pure la minuziosa, soffocante, claustrofobica messa in scena dell’ex pianista in Eyes Wide Shut. Dimentichiamoci pure la direttrice d’orchestra Cate Blanchett, talmente immersa nel suo narcisismo dispotico da donna di potere a cui tutto è concesso tanto da finirne stritolata e vittima essa stessa. Dietro anche questo. Elvis, un biopic rutilante, magmatico, sibillino, con una delle icone fondative del pop mondiale disegnata così calda e fragile da Baz Luhrmann. Ecco, niente. Anche Elvis sta dietro al pataracchio dei The Daniels.
Niente di nuovo sul fronte occidentale, sorpresa delle sorprese, nove nomination non sono mica poche, è un eccellente prodotto di genere storico che innesta anche certe licenze poetico-politiche (la stato tedesco che cerca la pace, ohibò) sul corpo letterario di Remarque che tentò di raccontare una generazione di giovani al di là di fanatismi e ripicche nazionaliste. Il film di Edward Berger funziona egregiamente e se proprio volessimo metterci con il grafico Prichard potrebbe fare le scarpe a EEAO. Poi certo ci sono due fanaloni di coda e ritenere anche questi minori rispetto al caos dei The Daniels fa scappare da ridere. Intanto Top Gun: Maverick, sequel ineccepibile e modernista di un cult anni ottanta che in certi momenti sembra superare perfino l’originale. Poi quell’Avatar: La via dell’acqua che sì, non è un film riuscito, ma rimane un film non riuscito di James Cameron e non di due passanti all’opera seconda. Insomma, togliamoci il dente presto aspettando già gli Oscar 2024.