di Michele Sanfilippo
Dopo la bella vittoria alle primarie, ora Elly Schlein ha l’arduo compito di ridare un’identità a un partito praticamente mai nato. La fusione a freddo operata da Walter Veltroni tra il poco che restava dell’anima di sinistra dei Ds, dopo i guasti di Massimo D’Alema, e la Margherita è stato un ulteriore fallimento soprattutto per chi aveva sperato in una grande forza politica a sostegno dei più deboli.
Fin da subito il Pd è diventato terra di colonizzazione da parte di esponenti del mondo imprenditoriale che hanno spinto ancor di più il partito a sostenere quello che l’economia neoliberista sostiene ovunque: se il mercato viene spogliato di regole, l’economia crescerà e tutti ne beneficeranno. Quindi meno tasse, meno stato e, pertanto, ampio spazio a privatizzazioni di ogni genere a partire da sanità, scuola e previdenza.
I risultati di almeno un trentennio di queste politiche sono evidenti: le forbici tra i pochi che hanno molto e i molti che hanno poco è sempre più ampia e i quasi sette milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà, o non votano o votano chi offre loro protezione (è poi da vedere se si tratti di protezione reale) cioè la destra di Giorgia Meloni. Le destre vincono (o crescono molto) in Italia, ma possiamo dire in quasi tutta l’Europa (Polonia, Ungheria, Svezia, Francia) per la mancanza di una forza politica di sinistra.
Schlein sembra aver capito la situazione e ora ha il difficile compito di ridisegnare gli obiettivi del partito per fare in modo che torni a essere il riferimento di chi vuole che la politica si occupi dei più deboli (tutti anche quelli che emigrano in cerca di un futuro) in quadro democratico. Ma su questo percorso ha due enormi problemi: il primo è che non controlla i gruppi parlamentari che grazie all’evanescenza di Enrico Letta sono ancora in buona parte degli ex renziani (Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani, etc.). Se questi gruppi iniziassero un processo di logoramento dell’azione di Schlein, potrebbe arrivare alle prossime elezioni con le ossa rotte.
Il secondo problema è altrettanto pericoloso. I mezzi stampa mainstream, che negli ultimi trent’anni hanno vaticinato disastri per una sinistra che fosse troppo sinistra, non le perdoneranno nulla. Peccato che il disastro per il Pd sia arrivato proprio per aver seguito questi grilli parlanti. Non è difficile prevedere che da qui alle prossime elezioni ci saranno scissioni e tentativi di delegittimazione. Credo che dalle scissioni dei singoli politici ci sia poco da temere, come insegna l’esperienza di Luigi Di Maio.
Quello che conta davvero sarà arrivare alle prossime elezioni con un programma chiaro e con candidati che siano all’altezza di sostenerlo sia politicamente che eticamente, sempre che le due cose possano essere distinte.