Nella psicologia di molti di noi esiste l’artificio di rimandare a domani quello che oggi ci costa sacrificio per continuare a non fare fatica. Un esempio è la persona sovrappeso o obesa che afferma fra sé e sé che intraprenderà la dieta dal “prossimo lunedì” oppure all’inizio dell’estate e andrà a fare ginnastica da settembre. Questo rimuginio interiore ha lo scopo di evitare di fare oggi il sacrificio di ingurgitare una cena luculliana.
Lo stesso meccanismo psicologico lo troviamo negli alcolisti, nei tossicodipendenti, ma anche nella vita di tutti i giorni negli studenti che rimandano l’impegno scolastico quotidiano al secondo quadrimestre o all’ultimo mese di scuola. Si tratta di un modo di autoingannarci, tanto che nel momento in cui facciamo i proponimenti crediamo realmente che saremo rigidi nell’attuarli. A dispetto dei fallimenti degli scorsi lunedì in cui non abbiamo iniziato la dieta, siamo molto risoluti sull’idea che il prossimo sarà quello giusto. Purtroppo si tratta di un artificio psicologico spesso molto deleterio perché porta ad eccedere nel comportamento disfunzionale: “visto che lunedì comincerò la dieta, la domenica mi abbuffo perché soffro già psicologicamente all’idea di essere a stecchetto per i prossimi mesi, così faccio l’ultimo pasto sovrabbondante…”
La presa di posizione del Parlamento europeo sull’auto elettrica risponde alla necessità di decidere qualche misura concreta contro l’inquinamento. Da un punto di vista psicologico mi pare però che si tratti di un meccanismo psichico per spostare in avanti il problema, guardando a un futuro prossimo (dodici anni) ma non troppo.
Nelle ultime settimane è emersa l’idea di alcuni stati membri dell’Unione Europea – tra cui l’Italia – di una ulteriore dilazione cambiando, eventualmente, anche alcuni divieti con il permesso di utilizzare carburanti biologici e quindi, teoricamente, rinnovabili. Secondo molti detrattori emergono svariate incognite sulla possibilità di realizzazione di questi progetti. Potranno le reti elettriche gestire un aumento del consumo così rilevante? La produzione elettrica sarà rinnovabile per la quasi totalità o l’inquinamento minore dell’auto si tradurrà in un maggiore inquinamento nelle centrali elettriche alimentate da combustibili fossili? Gli eventuali carburanti biologici inquineranno o avranno bisogno per la loro produzione di fonti fossili? Non sono competente per rispondere a queste domande tecniche, ma ne pongo un’altra inerente alla psicologia.
Perché non si è voluto o potuto intervenire subito, con le attuali tecnologie, sull’inquinamento da mobilità automobilistica? Imporre che nel giro di pochi anni solo auto che consumano la metà delle attuali siano messe in commercio è, a detta di tecnici del mestiere, alla portata delle case automobilistiche e della ricerca in questo campo. Vorrebbe dire abbandonare da subito i Suv mastodontici che pesano oltre i 20 quintali e consumano in modo elevato per macchine piccole, agili, aerodinamiche, possibilmente costruite per uno o due passeggeri e che abbiano pochi cavalli. In questo modo con le attuali conoscenze si dimezzerebbe in breve tempo l’inquinamento in attesa, speriamo nel 2035 o più in là se la normativa cambierà, delle auto che si muoveranno con energie veramente rinnovabili.
Chiaramente i politici si fanno belli con progetti futuribili molto ecologici, strizzando l’occhio al cittadino che vuole consumare anche oggi la sua dose di benzina su automobili sempre più grandi, potenti e dispendiose energicamente. Il sacrificio da fare subito viene sminuito (cosa vuoi che conti oggi ridurre i consumi) per prospettare un futuro radioso con zero emissioni. Il rischio concreto è che i cittadini europei, consapevoli dei sacrifici futuri, facciano come chi programma la dieta dal prossimo lunedì e si abbuffa la domenica. Per la strada vediamo mezzi di locomozione che sono uno schiaffo in faccia al risparmio energetico in quanto molto pesanti, poco aerodinamici e soprattutto enormi con 5 o sette posti, ma un unico passeggero.
Non mi occupo generalmente di pazienti tossicodipendenti, ma so che il periodo più pericoloso per loro sono i giorni antecedenti all’ingresso in una comunità. Quando uno di questi pazienti accetta di entrare in una struttura per la disassuefazione e il recupero, spesso nei giorni precedenti, per il meccanismo prima descritto, “si fa” a più non posso. Consapevole del fatto che in comunità la cocaina non sarà disponibile ne usa ora, che non è ancora entrato, col rischio concreto di morire di overdose.
Non vorrei che anche noi europei fossimo coinvolti nello stesso vissuto psicologico per cui, consapevoli che nel 2035 o pochi anni dopo (vedremo come vanno le trattative fra gli stati) ci sarà una stretta, ora che possiamo ci abbuffiamo di Suv sempre più grandi, mastodontici, con tanti cavalli. Il rischio che anche noi andiamo in overdose, secondo voi lettori, è reale?