Il 10 marzo 1978 veniva assassinato da un commando delle Brigate Rosse a Torino il maresciallo Rosario Berardi, accusato di essere un servo “dello Stato imperialista delle multinazionali”. Oggi, 45 anni dopo, gli anarchici devastano Torino per denunciare lo “Stato assassino”, e neo-nazi minacciano di morte Elly Schlein (dopo che alla sorella, prima consigliera di Ambasciata ad Atene, quegli altri hanno bruciato la macchina).

Ieri come oggi bisogna avere coraggio e ribadire non soltanto la denuncia verso ogni forma di violenza terroristica (comprese quelle squadriste davanti alla scuola di Firenze), ma anche l’impegno a lavorare quotidianamente per fare Repubblica, attraverso le Istituzioni e l’attività politica. Senza imbarazzi, perché non siamo così stupidi e venduti come certi ambienti radicali vorrebbero farci passare. Vale oggi e valeva allora.

Ma davvero potevano pensare i terroristi di allora che persone come il maresciallo Berardi, i magistrati Luciano Violante e Gian Carlo Caselli (con i quali Berardi aveva lavorato occupandosi prima di organizzazioni eversive nere), il giornalista Casalegno (assassinato pochi mesi prima di Berardi), Adelaide Aglietta (attivista del partito radicale che accettò di far parte della giuria popolare del processo al nucleo storico delle Br a Torino), Fulvio Croce (avvocato, presidente dell’Ordine degli avvocati torinesi, che accettò l’incarico della difesa degli imputati brigatisti per garantire la regolarità del processo e per questo venne assassinato), eccetera, non vedessero le contraddizioni e i limiti di quello Stato per il quale stavano rischiando la vita? Si poteva davvero pensare che fossero così venduti e annebbiati da non comprendere quanta violenza strutturale ci fosse nelle pieghe dell’azione dei poteri istituzionali, spesso allacciati a quelli criminali veri e propri (basterebbe seguire la traiettoria dell’impegno di Violante e Caselli per averne abbondanti prove)?

Sciocchezze. Erano piuttosto uomini e donne che, nella consapevolezza dei limiti, avevano fatto una scelta di campo e il campo era quello dello Stato di diritto, delle libertà individuali, della Res publica fondata sulla Costituzione antifascista del ’48. Un campo mai da intendersi come “dato”, “perfetto”, “approdo”, ma come punto di partenza, come momento di un processo incompiuto e a volte sussultorio, ma teso ad allontanare quanto più possibile la storia umana dal dispotismo del più forte che si fa legge, avvicinandola alla forza della Legge, che fa da scudo prima di tutto a chi è più debole.

E noi oggi siamo diversi?

Agli occhi di anarchici sovversivi e neofascisti, e oggi sappiamo anche agli occhi di un capo mafia come Matteo Messina Denaro, non siamo diversi: noi che oggi scegliamo ancora una volta il “campo” dello Stato di diritto e della Repubblica italiana appariamo come dei venduti, degli stupidi, servi dello “Stato prima piemontese e poi romano che ha creato la grande bugia della mafia cattiva” (cito a memoria dal pizzino manifesto di Messina Denaro, novello ideologo di un farlocco indipendentismo mai sepolto), servi ieri come oggi dello “Stato imperialista delle multinazionali”.

Pazienza.

Noi oggi, come allora Berardi, Violante, Caselli, Croce, Aglietta, Casalegno (…), siamo eccome consapevoli dei limiti e delle contraddizioni di questo “ordine”: limiti e contraddizioni che ci fanno soffrire, che cerchiamo di denunciare e contro i quali lavoriamo proponendo soluzioni differenti. Penso al rapporto tra pezzi di Istituzioni e mafie, alla corruzione di certa politica, penso alla gestione aberrante dei flussi migratori, penso all’economia che distrugge l’ambiente, condannando per primi i più fragili, penso alle guerre e a chi ci guadagna. Ma noi come loro non siamo così puerili e narcisisti da credere in una palingenesi totale, frutto del genio impavido di qualche mangiatore di fuoco. Noi come loro siamo grati a quanti ci hanno cavato dall’autoritarismo nazifascista, scrivendo a caro prezzo un nuovo ordine, repubblicano e democratico, che è quanto basta per metterci alla prova e fare un pezzo di strada in più, un pezzo in più di liberazione.

Semmai abbiamo un altro problema, quello di essere a volte un poco imbecilli, cioè male organizzati e indisciplinati, con il rischio di confondere il conflitto per il potere con una cena di gala.

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