di Roberto Iannuzzi*
Le dichiarazioni di questi giorni del presidente cinese Xi Jinping e del suo ministro degli esteri Qin Gang, riguardo al “contenimento” e all’“accerchiamento” di cui la Cina sarebbe vittima per mano dell’Occidente guidato dagli Usa, lasciano presagire un preoccupante deterioramento nei rapporti fra le due superpotenze mondiali. Un deterioramento che, sommandosi allo scontro fra Nato e Russia che ha il suo epicentro in Ucraina, favorisce la convergenza fra Mosca e Pechino.
Immediatamente bocciato dal presidente americano Joe Biden, che lo ha discutibilmente definito come “non razionale”, il cosiddetto “piano di pace” sull’Ucraina presentato da Pechino (in realtà un documento programmatico che esprime la posizione cinese sul conflitto) sembra già appartenere al passato. Ancora una volta, tuttavia, siamo di fronte a un serio problema di interpretazione da parte della stampa occidentale.
Così come essa ha sottovalutato le summenzionate dichiarazioni di Xi Jinping e del suo ministro (le quali segnalano un cambio di tono epocale, la presa d’atto da parte di Pechino che gli Usa non accettano una convivenza con la Cina su una base di parità e mutuo rispetto), analogamente ha mal compreso, e sminuito, il documento programmatico sull’Ucraina. Nel clamore mediatico sul primo anniversario dell’invasione russa, che ha caratterizzato l’intera settimana culminata con la ricorrenza del 24 febbraio, data di inizio del conflitto, è completamente sfuggita la sequenza attentamente studiata e calcolata con cui Pechino ha emanato non uno, ma tre documenti, l’ultimo dei quali è stato appunto il cosiddetto “piano di pace” (secondo l’erronea definizione della stampa occidentale).
Il primo documento, apparso il 20 febbraio con il titolo “U.S. Hegemony and its Perils”, è un’aperta denuncia di quelle che Pechino definisce “pratiche egemoniche” degli Usa a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e dei pericoli che esse comporterebbero per la pace e la stabilità globali. Secondo il documento, per preservare la propria egemonia gli Stati Uniti hanno interferito negli affari interni di altri paesi, spesso destabilizzandoli, e provocando “rivoluzioni colorate” hanno fomentato conflitti regionali e addirittura lanciato guerre di propria iniziativa con il pretesto di promuovere democrazia, libertà e diritti umani.
Il secondo documento, intitolato “Global Security Initiative” (Gsi) e pubblicato il giorno successivo, riconoscendo il continuo deterioramento della stabilità internazionale si propone come una piattaforma per affrontare le molteplici sfide globali e risolvere i conflitti attraverso un approccio multilaterale e mutuamente vantaggioso (“win-win”, secondo una formula cara alla retorica cinese).
A tal fine la Gsi formula alcuni concetti chiave, fra cui rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi, principio di non interferenza negli affari interni, reale implementazione della Carta dell’Onu, promozione della “sicurezza indivisibile” (principio caro alla Russia ed elemento cardine alla base di ogni intesa di sicurezza paneuropea a partire dagli accordi di Helsinki del 1975, poi affossato dall’espansione della Nato, in base al quale la sicurezza di un paese non deve andare a spese di quella degli altri), risoluzione pacifica dei conflitti attraverso il dialogo e riconoscimento consensuale del fatto che “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”.
Infine, il 24 febbraio, il ministero degli esteri cinese ha pubblicato il già citato documento in dodici punti che esprime la posizione di Pechino sulle modalità per facilitare una soluzione politica del conflitto ucraino. Senza avere la pretesa di costituire una dettagliata road map per il raggiungimento della pace, il piano espone alcuni principi generali già esposti nella Gsi (rispetto della sovranità, sicurezza indivisibile e abbandono della “mentalità da guerra fredda”) e alcune misure pratiche come il cessate il fuoco e ripresa dei negoziati, rimozione delle sanzioni, facilitazione delle esportazioni di grano e ricostruzione post-conflitto.
Considerati nel loro insieme, tali documenti sono rilevanti poiché con essi Pechino, dopo aver denunciato gli eccessi del ruolo egemonico di Washington, propone un’architettura di sicurezza internazionale “post-americana” fondata sulla Carta dell’Onu e sul multilateralismo, in cui però la Cina avrà inevitabilmente un “ruolo ispiratore”. Nel documento sull’Ucraina, ribadendo concetti cari alla Russia come “sicurezza indivisibile” e “rimozione delle sanzioni unilaterali”, Pechino conferma la propria intenzione di non rinunciare a una salda partnership con Mosca.
Tali documenti, complessivamente, sono dirompenti in quanto rappresentano la proposta in nuce di un nuovo ordine mondiale e allo stesso tempo testimoniano la decisione di Pechino di acquisire un ruolo politico a livello internazionale – che per decenni i leader cinesi sono stati riluttanti ad assumere, preferendo dedicare i propri sforzi allo sviluppo economico della Cina. Se è vero che tali documenti sono stati subito sminuiti e perfino derisi in Occidente, va rilevato che il loro vero bersaglio sono i paesi non occidentali, quelli del cosiddetto “Sud del mondo” che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale e che Washington, malgrado i propri sforzi, non è riuscita a portare dalla propria parte sul conflitto ucraino.
Un ruolo di Pechino “alternativo” a quello che Washington ha giocato a livello internazionale dal dopoguerra a oggi è ciò che realmente spaventa la leadership americana e che ha spinto Biden a bocciare senza indugio il “piano” cinese.
@riannuzziGPC
Roberto Iannuzzi
*Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017)