Si è chiusa martedì la settimana della moda francese, in una Parigi asserragliata dagli scioperi e dalle manifestazioni per la riforma delle pensioni varata dal governo Macron. Cala così il sipario sul lungo mese della moda, iniziato a febbraio con gli appuntamenti di New York e Londra e culminato con le sfilate di Milano e Parigi. Nel complesso abbiamo assistito al ritorno di un certo gusto classico, di un’eleganza di stampo neoconservatore, per collezioni focalizzate sulla sartorialità che attingevano tanto dagli archivi della propria maison lasciando poco spazio per la creatività. Una cautela che è il riflesso del clima d’incertezza verso il futuro che pervade la nostra società, spingendo i colossi del lusso a muoversi con circospezione, chiudendosi a riccio sui capisaldi dello stile che garantiscono vendite sicure. Lo si è visto a Milano ma soprattutto a Parigi, dove la scena è dominata dai brand dei due magnati Arnault e Pinault, il “leone” e il “serpente” della moda. Anche loro, decisionisti per antonomasia, faticano a vedere l’orizzonte e tentennano nell’indicare la rotta, preferendo mettere al riparo i propri guadagni sotto coperta.
I riflettori erano tutti puntati su Balenciaga e, in effetti, la “sfilata del pentimento”, come è stata ribattezzata dagli addetti ai lavori, è stata un vero e proprio manifesto di scuse da parte del direttore creativo Demna Gvasalia. La sua colpa? Una campagna pubblicitaria con pesanti allusioni alla pedopornografia e al mondo del bondage. Così, in un lampo, ha cancellato tutta la sua storia e tutto il suo percorso stilistico con la casa di moda, facendo sfilare una collezione asciutta, castigata, rigorosissima. Via ogni sprazzo di creatività, largo ad un esercizio di sartoria. Il designer georgiano ha chinato il capo cosparso di cenere, ha fatto tabula rasa e si è messo a lavorare sull’heritage di Cristobal Balenciaga, costruendo – cartamodelli alla mano – impeccabili completi gessati con giacche doppiopetto, lunghi cappotti neri, blazer oversize con un ritmo spezzato solo da qualche vestito floreale. Grande attenzione al tailoring anche da Valentino, con Pierpaolo Piccioli che ha lavorato sul significato della cravatta ricodificando l'”uniforme maschile” (ve ne abbiamo parlato qui) e da Stella McCartney, dove la stilista inglese ha firmato la sua collezione invernale più sostenibile di sempre lasciandosi ispirare dallo stile british.
Chanel ha fatto Chanel, né più né meno di sempre, Dior ha rispolverato la sua iconica gonna a ruota, portando in passerella una collezione Autunno/Inverno 23-24 affascinante e rievocativa dello stile anni Cinquanta della prestigiosa maison francese: Maria Grazia Chiuri si è ispirata a tre celebri donne dell’epoca (Catherine Dior, Edith Piaf e Juliette Greco) per esplorare e ridefinire i canoni del brand, attuando una riflessione sul rapporto tra abito, corpo e femminilità. Si è focalizzato sulla storia e la tradizione del marchio – con un’attenzione particolare ai tessuti – anche Andreas Kronthaler, il marito di Vivienne Westwood, che ha fatto sfilare la prima collezione della maison senza la Regina del Punk, scomparsa lo scorso dicembre. La sua è stata una dichiarazione d’amore eterno, con una serie di capi che riproponevano i capisaldi dell’archivio di Westood accompagnati da una struggente lettera: “Ho nostalgia di te – ha scritto Kronthaler – . Così tante domande. Ti capisco molto di più ora. Ho trovato la sciarpa che stavamo cercando. Sto leggendo i libri che leggevi tu. Metterò la musica che abbiamo sentito insieme tante volte. Tenerti sulle mie ginocchia è tutto ciò che desidererei adesso. E accarezzare la tua faccia col mio naso”.
A scaldare gli animi ci ha pensato Anthony Vaccarello con la sua collezione Autunno/Inverno ’23 di Saint Laurent: tra suggestivi lampadari d’oro e centinaia di candele i cui riflessi venivano amplificati da un gioco di specchi, ha presentato una collezione fondata su una silhouette a “T” esagerata, con maxi spalle che riportano in passerella il power dressing. Quindi una vita strettissima e le gambe affusolate che culminano in slingback super appuntite. In sottofondo riecheggiano i ruggenti anni Ottanta, con le loro camicie in chiffon dai grandi fiocchi, i gioielli vistosi e le scollature profonde. Quella disegnata da Vaccarello è una donna imperturbabile, impenetrabile, potente. Magnetica e tagliente. Ha lavorato sull’anatomia femminile anche Sarah Burton da Alexander McQueen e il risultato è una magistrale collezione altamente sartoriale che gioca e indaga il concetto di sottosopra, sovvertendo canoni e convenzioni, con la sagoma dell’orchidea a fare da fil rouge nei motivi. E così ecco i tailleur formali con la giacca decostruita, completi sapientemente tagliati, incastri di proporzioni e abiti in maglia che sono delle vere e proprie sculture. Geometria è la parola chiave pure della collezione A/I 23-24 di Louis Vuitton: in passerella hanno sfilato vestiti dalle forme scultoree, maxi spalle, colletti appuntiti che sembrano staccarsi dai modelli, abiti e completi in gessato o Principe di Galles. Largo ai tessuti preziosi, alle fantasie damascate, alle trasparenze, ai pizzi e ai tocchi di colore, senza mai dimenticare il focus sugli accessori, le borse in primis.
E a proposito di attenzione al prodotto, in questa settimana della moda parigina ha catturato la nostra attenzione (e il nostro cuore) la collezione Autunno/Inverno 23 di Hermes. La maison del lusso francese per eccellenza ha lavorato in sordina per tutti questi anni alle sue collezioni pret-à-porter e adesso iniziano a vedersi i risultati: capi chic, la classe, i bei materiali, i tagli impeccabili, la palette di colori e soprattutto l’eccellenza della cura. Ci sono i cappotti di pelle morbidissima, gli abiti di maglia soffice, i cuissardes (accessorio must del prossimo inverno, siete avvisati) le gonne plissettate e gli abiti in shantung, per look monocromatici che esplorano tutta la gamma delle tonalità della natura, calde e avvolgenti. Tutto è sublime, perfetto, raffinato perché è stato creato con la consapevolezza di non doversi curare delle vendite, del marketing e dei social: Hermes non ne ha certo bisogno. La stessa libertà d’intenti l’abbiamo ritrovata anche chez Roger Vivier, la maison francese di scarpe dall’animo tutto italiano (è di proprietà del gruppo di Diego Della Valle, ndr). Il designer Gherardo Felloni, con l’estro che lo contraddistingue, ha lavorato sulle silhouette e sul concetto di couture, recuperando l’attenzione del fondatore per il tacco: “Quando immagino una scarpa, penso come un couturier e cerco di creare una nuova linea”. Ecco allora che le sue nuove calzature “escono dal loro ruolo puramente ornamentale e rendono unico ogni look”, come sottolinea il direttore creativo di casa Vivier. Drappeggi, volant, ricami: è un tripudio di tecniche artigianali. Come quelle con cui viene plasmata la pelle morbida come un tessuto e setosa come il velluto usata per realizzare la Viv’ Choc Me, la borsa must have della stagione.
Dulcis in fundo, chiudiamo in bellezza questa nostra rassegna con il debutto di Schiaparelli con la prima collezione di pret-à-porter firmata dal direttore creativo Daniel Rosberry. Il designer è andato dritto alle origini del brand, nato con le maglie trompe l’oeil ideate da Elsa Schiaparelli, allora rivoluzionarie, e ha confezionato una sublime collezione fedele e coerente, con tutti gli elementi chiave dello stile di Schiap declinati in un’ottica quotidiana. E non possiamo che condividere la riflessione di Rosberry, quando dice che “spesso in questa città (Parigi, ndr) e in questo settore, quanto più si sale, il prodotto diventa meno creativo. Ma Elsa ci dà il benestare – e una strada certa – per immaginare cosa significhi essere chic senza paura, fidarsi del proprio istinto. Ed è proprio di questo che parla questa collezione: di abiti e accessori collocati in quel bivio impossibile, tra ciò che è per sempre alla moda… e ciò che è perfettamente del momento”.