Il fondatore di Alleanza Nazionale ed ex presidente della Camera commenta l'intenzione del governo Meloni di rimettere mano al testo del 2002 che lui stesso firmò insieme a Umberto Bossi. "Si tratta soprattutto come e dove arginare, e in prospettiva fermare, una emergenza sociale che ha dimensioni globali e costi, in termini di vittime ancor prima che materiali, senza precedenti"
“La cosiddetta legge Bossi Fini è in vigore da vent’anni, va cambiata perché è mutata profondamente l’origine del fenomeno migratorio. Esso ha oggi dimensioni globali ed è sempre più correlato al dovere morale, oltre che al diritto internazionale, di garantire diritto d’asilo a chi fugge da guerre, rischi di genocidio, catastrofi naturali, violazioni di massa dei diritti fondamentali dell’uomo”. A dichiararlo, ancora una volta, è il padre della legge 189 nel 2002, Gianfranco Fini, che firmò la riforma da vicepresidente del consiglio dei ministri nel secondo governo Berlusconi insieme all’allora ministro per le riforme istituzionali, Umberto Bossi. Sentito dall’Ansa sulla proposta di modifica della legge avanzata dall’attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano, il fondatore di An spiega che governare il fenomeno migratorio “non significa più solo decidere chi e come può arrivare legalmente in Italia e in Europa, ma soprattutto come e dove arginare, e in prospettiva fermare, una emergenza sociale che ha dimensioni globali e costi, in termini di vittime ancor prima che materiali, senza precedenti.
“Una legge che non basta più” – “È una sfida che riguarda l’intera società occidentale ed in primis la cultura e la politica europea”, spiega l’ex presidente della Camera, che già in passato si era espresso a favore di una modifica del testo del 2002. “Nella legge che ho contribuito a fare c’è scritto che se un immigrato regolare, con permesso di soggiorno, perde il lavoro, ha un certo numero di mesi per trovare una nuova occupazione. Ecco, allungherei il tempo concesso dalla legge, perché oggi è veramente difficile per tutti trovarsi un lavoro”, diceva già nel 2012. Oggi torna ancora una volta sul tema mentre il governo di Giorgia Meloni è alle prese con la riscrittura delle norme sull’immigrazione. “La Bossi Fini, come la precedente legge Turco Napolitano, regola l’immigrazione cosiddetta economica, garantisce cioè il permesso di soggiorno a chi dispone di un reddito da lavoro. Di qui le quote annuali di nuovi immigrati e, in passato, le sanatorie di immigrati entrati clandestinamente”, spiega Fini. “Ma è evidente che ciò non è più sufficiente e che è indispensabile un quadro normativo molto più ampio, quanto più possibile comune agli stati dell’Unione europea”.
L’annuncio del governo – Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano intanto respinge l’accusa che il testo varato a Cutro sia contro i migranti, e lascia intendere che ci sarà un nuovo intervento: “Un conto è un decreto urgente, altro è rimettere mano alla intera legge sull’immigrazione che ormai ha fatto il suo tempo, è stata rattoppata non so quante volte, ci sono gli articoli bis, ter, quater”. Il riferimento è proprio alla Bossi Fini: “Ormai è diventata una legge-arlecchino. Bisognerà fare qualcosa di nuovo, ma con calma e in maniera articolata”. Mantovano precisa inoltre che “la protezione speciale non è stata cancellata. Quando avrete i testi, potrete verificare. La protezione speciale a chi fugge da persecuzioni politiche, religiose, sessuali, rimane. D’altronde lo prevedono norme internazionali. Sparisce solo un caso particolare legato alle famiglie”.
La fine dei permessi per lavoro – La legge 189 del 30 luglio 2002 nota come Bossi Fini introdusse per la prima volta la detenzione amministrativa in quelli che la precedente legge del 1998, Turco Napolitano, aveva chiamato Cpt, centri di permanenza temporanea, oggi Cpr, per il rimpatrio. Una detenzione non legata a fatti di rilevanza penale, ma alla mancanza di documenti che attestino l’identità che trasformava l’irregolarità in un reato, quello “di clandestinità“. Il frutto del lavoro di Alleanza Nazionale e Lega Nord puntava al contrasto dell’immigrazione irregolare, ma l’effetto fu anche quello di impedire definitivamente l’ingresso di lavoratori, portando il nostro Paese in fondo alla classifica Ue dei permessi rilasciati per motivi di lavoro, che andava trovato prima di mettere piede in Italia, col datore che avrebbe dovuto rintracciare la manodopera direttamente nel paese d’origine. Un’idea che non ha mai funzionato, aumentando invece le richieste d’asilo, unica speranza per il permesso di soggiorno.
L’era delle sanatorie e dei decreti flussi – Tra le tante critiche alla Bossi Fini c’è la cancellazione dell’istituto dello “sponsor” introdotto dalla Turco Napolitano, che consentiva il soggiorno temporaneo per cercare lavoro grazie a un un parente, datore di lavoro o anche un’associazione che si faccia garante dell’ospitalità e di un’iniziale indipendenza economica. La legge del 2002 invece pretende che l’indipendenza ci sia da subito, mentre chi il lavoro ce l’aveva e l’ha perso, tanto da non avere più il reddito minimo previsto, non ha modo di cercarsi un nuovo impiego ma va subito rimpatriato, anche se è in Italia da anni e qui si è costruito una vita e una famiglia. Una scelta che ha spinto molti nel limbo dell’irregolarità contro il quale lo stesso Fini si è più volte espresso. Ma soprattutto una scelta che ha poi obbligato i governi alle sanatorie e agli annuali decreti flussi per consentire al sistema produttivo di avere manodopera. Già entro l’anno successivo all’entrata in vigore della Bossi Fini, infatti, vennero regolarizzati attraverso una mega sanatoria 247mila lavoratrici e lavoratori stranieri.