Quasi 5.000 episodi di aggressioni in corsia in tre anni, ovvero circa 1.600 l’anno, dalle minacce fino a lesioni più o meno gravi. E in 7 casi su 10 la vittima è una donna. Ma i numeri, seppur già molto elevati, non devono trarre in inganno, spiega la Federazione: “Ce ne sono 26 volte di più, circa 125mila, non registrati”. E le più vulnerabili sono ancora le donne: “Per il 75% sono violenze che coinvolgono donne e nel 40% circa dei casi si è trattato di violenze fisiche. Vere e proprie aggressioni che hanno lasciato il segno. Il 33% delle vittime è caduto in situazioni di burnout e il 10,8% presenta danni permanenti a livello fisico o psicologico”.
È preoccupante il quadro disegnato da un report prodotto da otto università e reso pubblico dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari. La professione più colpita è quella delle infermiere e delle educatrici impegnate con tossicodipendenti, alcolisti. Seguono, con il 29% dei casi, gli operatori e le operatrici socio-sanitarie. Più distaccata, con il 3%, la categoria dei medici. “Le denunce all’Inail, però, sono molto meno di quelle reali, perché ormai praticamente non si denunciano più le aggressioni verbali, che però, alla lunga, si traducono in stress, burnout e abbandono della professione”, sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Fnopi).
I numeri forniti dal report raccontano di una professione veramente in prima linea, esposta agli attacchi dei pazienti. Una situazione che addirittura scoraggia il personale dal denunciare, con le violenze, verbali o fisiche, percepite sempre più come normalità: “Molti colleghi, non solo infermieri ma di tutte le professioni sanitarie che sono a contatto con l’utenza, non stanno denunciando soprattutto le aggressioni verbali perché sembra quasi sia diventata una modalità relazionale con cui fare i conti quotidianamente – dichiara la presidente della Fnopi, Barbara Mangiacavalli – Il vissuto di un infermiere, di un professionista che in qualche modo è aggredito, è un vissuto che fa fatica ad essere elaborato. Ci sono studi internazionali che ci parlano di episodi di burnout, stress, disaffezione rispetto al lavoro e alla professione, tanto è vero che in questi anni stiamo registrando moltissimi abbandoni della professione“.
Lo studio spiega anche quali siano i motivi dietro a un numero così alto di aggressioni nei confronti del personale sanitario: “L’aggressione è l’effetto di una serie di cause anche importanti che affondano le radici in diversi contesti, tra cui i modelli organizzativi e alcune mancate risposte che i cittadini patiscono. I bisogni dei cittadini spesso non vengono convogliati verso i luoghi più adeguati, ad esempio molti accessi al Pronto Soccorso non sono legati a situazioni di criticità vitali. Emergono invece bisogni di ascolto, necessità di presa in carico di situazioni complesse, che sfiorano la sfera socioassistenziale. Si aspettano quindi una risposta da un servizio, da una struttura, che spesso non è quella corretta. Occorre quindi investire affinché vi siano servizi territoriali sempre più capillari e conosciuti”.
A denunciare la situazione è anche Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato dei medici e dirigenti Ssn, Anaao Assomed: “Le violenze sugli operatori sanitari sono diventate un vero e proprio ‘bollettino di guerra’ quotidiano. Pur apprezzando la volontà dei ministri della Salute e dell’Interno di intervenire per arginare il fenomeno, è giunto il momento di far seguire alle intenzioni le azioni. Non bastano misure deterrenti, seppur utili quali drappelli di polizia, inasprimento delle pene e procedimenti d’ufficio per chi commette violenza sugli operatori. Occorre un cambio di paradigma del sistema di cure. Bene la sensibilizzazione, ma le aggressioni sono l’effetto di un disagio profondo e non la causa”. Il segretario, poi, fa un elenco dei numerosi disagi che colpiscono la categoria: “I medici e i dirigenti sanitari oggi sono sottopagati, aggrediti, esposti e sottoposti a tre tribunali, lavorano in costante carenza di organico e sono ingabbiati e sequestrati nei luoghi di lavoro, tanto che da una nostra recente indagine è risultato che 1 su 3 è disposto a cambiare lavoro. Abbiamo chiesto al ministro Schillaci interventi urgenti di tipo economico e legislativo per rendere gli ospedali luoghi sicuri e attrattivi sia per i professionisti che per i pazienti. Ma non c’è più tempo. Noi ci siamo. Pronti a collaborare se si vuole agire, pronti a fermarci se non agirà”.