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Mia, Chiara Saraceno a La7: “Colpevolizza i poveri per l’assenza di politiche attive del lavoro e punisce gli occupabili senza figli”

La cosa più problematica della Mia è la distinzione tra i cosiddetti occupabili e i cosiddetti non occupabili, perché è basata sulla composizione di una famiglia, non sulle caratteristiche individuali. Non possiamo dare un importo individuale diverso a seconda che si abbia un figlio minorenne oppure no”. Così, a Coffee Break (La7), la sociologa Chiara Saraceno, già presidente del comitato scientifico di valutazione del reddito di cittadinanza per il governo Draghi, commenta la Misura d’Inclusione Attiva voluta dal governo Meloni al posto del sussidio varato dal governo Conte, spiegando: “Io spero fortemente che nelle famiglie con minorenni ci siano degli adulti occupabili. Tra coloro, invece, che non hanno figli minorenni o non sono anziani, né disabili ci possono essere persone che difficilmente sono appetibili per il mercato del lavoro, perché magari sono ultracinquantenni o hanno basse qualifiche o sono state per tanti anni lontano dal mercato del lavoro”.

Saraceno aggiunge: “Dobbiamo fare politiche attive del lavoro per tutti quelli che hanno la possibilità di lavorare, a prescindere dalla dimensione e dalla composizione della famiglia. Qui però casca l’asino. Tutto sommato, i limiti del Mia non sono molto diversi da quelli del reddito di cittadinanza, a parte l’essere maggiormente punitivo nei confronti dei poveri, specie se non hanno figli. Entrambe le misure – spiega – puntano tutto su politiche attive del lavoro che non ci sono. Si continua a dire che gli occupabili dovrebbero fare formazione, ma intanto non viene fatta. Anche i famosi 6 mesi di formazione che dovevano iniziare da gennaio, secondo la legge di Stabilità per gli occupabili, non sono partiti“.

La sociologa conclude: “Quello del Mia è un tentativo di far cassa e di risparmiare un po’ sul sussidio. Ma, al di là di questo, il mio grande timore è che di nuovo si colpevolizzeranno i poveri per la mancanza di politiche pubbliche che dovrebbero esserci. Non è vero che il reddito di cittadinanza ha incentivato il divanismo e la nullafacenza, perché, se solo il 10% dei percettori ha ricevuto una qualsiasi offerta di formazione o di lavoro, evidentemente – chiosa – non è per colpa loro, ma è perché mancano le politiche attive. Si deve lavorare per far funzionare meglio i centri per l’impiego, per dare corsi di formazione efficaci e per creare il lavoro, perché è vero che in molte zone d’Italia il lavoro decente manca. Se non si fanno queste cose, saremo sempre allo stesso punto. E per fortuna che c’è una misura di sostegno al reddito per chi non ce l’ha“.