Al presidente della Regione era stata contestata la corruzione elettorale. I magistrati hanno fatto decadere le accuse dopo l'interrogatorio. Al centro delle indagini i rapporti tra le imprese dell'indotto di Santa Croce sull'Arno e quelle dello smaltimento degli scarti. Tra le persone che rischiano il processo c'è l'ex capo di gabinetto del governatore, Ledo Gori
Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione elettorale, seguito dopo pochi giorni da una richiesta di archiviazione della Procura già accolta dal gip. Lo scrive la Nazione. L’inchiesta è quella dello smaltimento degli scarti delle concerie di Santa Croce sull’Arno, in provincia di Pisa. Nell’indagine, già dalle battute iniziali, era entrato l’ex capo di gabinetto del governatore Ledo Gori. A novembre la Procura aveva chiuso l’inchiesta su Gori e altri 25 e si è in attesa dell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. “Non c’è da commentare – risponde Giani a chi glielo chiede – Sono i fatti che lo dicono: la mia posizione è stata valutata e archiviata ancor prima che procedesse il tutto e quindi prendo atto del serio lavoro dei magistrati”. Dopo l’avviso di garanzia il presidente della Toscana era stato interrogato dai pm e successivamente la Procura ha chiesto l’archiviazione sulla quale c’è stato l’ok del giudice per le indagini preliminari.
La contestazione a Giani ruotava intorno all’emendamento alla legge regionale 20/2006, relativo ai rifiuti delle concerie, che nel maggio 2020 il Consiglio regionale, allora presieduto da Giani, approvò “attraverso una procedura non conforme ai regolamenti”, “di fatto impedendo alle opposizioni di conoscere il contenuto prima della votazione”, secondo l’ipotesi di accusa poi decaduta. All’interrogatorio, spiega La Nazione, il governatore ha dovuto rispondere anche di una cena fatta a marzo 2020 a Santa Croce e di un altro appuntamento elettorale del luglio successivo in cui i conciatori avrebbero ottenuto la promessa della conferma di Gori come capo di gabinetto, “nomina che per i destinatari della promessa – sosteneva l’accusa – costituiva la garanzia di poter proseguire nella propria attività illecita di gestione degli impianti di trattamento dei reflui”.
Giani al pm spiegò di non essere stato a conoscenza “del contenuto di questa iniziativa per la modifica legislativa”: da presidente del Consiglio regionale “svolgevo un ruolo di natura notarile”, “senza una verifica nel merito, non essendo il mio compito”. Giani ha anche dichiarato di non sapere che gli uffici tecnici “avevano già espresso seri dubbi di costituzionalità” e che quando lo è venuto a sapere, “dopo essere divenuto presidente della Giunta, presi l’iniziativa di portarlo alla revoca“. Infine per Gori nessuna imposizione: nella creazione dello staff “volevo rinnovare alcune figure ma anche assicurare la continuità amministrativa. Queste sono le ragioni per cui ho confermato Ledo Gori. Lui mi disse che entro due anni sarebbe andato in pensione, quindi era una soluzione ottimale per un passaggio di consegne graduale”. Gori, infatti, era stato già capo di gabinetto col predecessore di Giani, Enrico Rossi. Gori attualmente è a processo per un’altra vicenda risalente proprio al periodo in cui era nello staff di Rossi: deve rispondere di corruzione nell’ambito di un’inchiesta sulla campagna elettorale delle Regionali del 2015 e su una presunta assegnazione di un incarico come dirigente dell’Asl in cambio di voti.