La crisi societaria, il bel gioco, le coppette alzate qua e là, i quarti di Champions League lì alla portata. La stagione dell’Inter non è ancora finita ma ha già superato il punto di non ritorno: a quasi -20 in classifica dalla vetta, mai in corsa per lo scudetto, con 8 sconfitte a marzo (e una proiezione di almeno 10-11 totali), non ci sono più i presupposti per andare avanti. Comunque vada martedì a Oporto, domenica con la Juventus o a giugno, l’era di Simone Inzaghi è finita a La Spezia, e ancora prima contro l’Empoli, a Monza, con la Sampdoria, l’anno scorso a Bologna. Tutte le volte che la sua Inter non è stata all’altezza di se stessa.
Sembra paradossale processare un allenatore dopo una partita in cui la sua squadra ha avuto il 70% di possesso palla, tirato 28 volte verso la porta, collezionato occasioni in serie. Il gol che è mancato non lo poteva certo segnare lui. Eppure i nerazzurri contro lo Spezia non hanno perso affatto per caso, perché la sconfitta è stata l’ennesima variazione sul tema, forse la più clamorosa e surreale, di un difetto che origina nelle fondamenta. L’Inter è una squadra moscia. Come il suo allenatore. E certo come pure i suoi giocatori, perché è altrettanto vero che in campo ci vanno loro, e i vari Lautaro, l’ormai ex capitano Skriniar, lo stesso Brozovic, mettiamoci anche Barella con le sue isterie, l’incerto Bastoni, non sono certo cuor di leoni, calciatori in grado di auto-gestirsi e trascinarti fuori dalla tempesta, no, affondano alla prima difficoltà. Ma il timone è in panchina. Ed è allo sbando.
Inzaghi ha fallito – e La Spezia non ha deciso nulla, è stata solo l’ennesima riprova – perché ha dimostrato di non avere più in mano le redini di questa squadra. Probabilmente non le ha mai avute. Le attenuanti per carità sono infinite. Parliamo di una squadra che negli ultimi due anni non ha fatto mercato, ha venduto i suoi due giocatori migliori, quelli che ha tenuto sono rimasti in un clima di perenne incertezza, con alle spalle una proprietà fantasma, e una dirigenza vecchia che si arrabatta tirando a campare (e salvare la poltrona). Più che un allenatore, ci voleva quasi un salvatore. Non è lui.
Inzaghi è pure un bravo tecnico, le sue squadre attaccano bene, a tratti divertono, per qualche mese lo scorso anno l’Inter ha giocato il miglior calcio d’Europa, che a Milano non si vedeva da chissà quanti anni. Ma il calcio non è solo tattica, è anche cuore e testa. In due stagioni – ormai possiamo dirlo – Inzaghi non è riuscito a trasmettere alla sua Inter l’essenza che qualsiasi grande squadra deve avere. Convinzione, cattiveria, personalità, chiamatela come volete. Forse la parola più giusta è concentrazione, che vuol dire tante cose: buttare in porta al momento giusto una delle mille occasioni create, non prendere gol alla prima azione subita, saper azzeccare due partite in fila e non sciogliersi sistematicamente alla volta seguente una bella prestazione. Tutto ciò per cui l’Inter ha perso lo scudetto l’anno scorso, e quest’anno ha praticamente buttato la stagione. Senza dimenticare poi i limiti manageriali (la sua unica richiesta è stata Correa, un bagno di sangue per le casse dell’Inter) e gestionali (cambi sempre uguali e spesso sbagliati, scarsa attitudine alla valorizzazione dei giovani come Asllani).
Il verdetto è (quasi) inappellabile. Non basterà la qualificazione in Champions, minimo sindacale per evitare il fallimento (quello davvero economico). Non servirà la Coppa Italia, che sarebbe il quarto trofeo minore della sua era (ma a sommarli non ne viene fuori uno serio). Potrebbe cambiare qualcosa solo un exploit europeo, passare il turno con il Porto (possibile), tornare nelle prime otto del continente a distanza di 12 anni dall’ultima volta, magari spingersi ancora oltre, perché ai quarti ci saranno diverse formazioni abbordabili (dalle stesse italiane, Napoli e Milan, che l’Inter ha già battuto in gara secca, a Benfica e Chelsea: è un’occasione per tutti). Attenzione, però, perché nemmeno un risultato così enorme, che a Milano possono solo sognare, cambierebbe forse la sostanza. Un po’ effetto Di Francesco alla Roma, insomma: si può anche ritrovarsi per caso in semifinale di Champions, e sprecare pure la stagione successiva. Salvo miracoli, i nerazzurri in estate dovranno cambiare. Che poi questa Inter, senza soldi e senza idee, sia in grado di trovare qualcosa meglio di Inzaghi, è tutto da dimostrare.