“Una volta era la montagna a fornire l’acqua alla pianura ma oggi non è più così. Siamo costretti a portare l’acqua dalla pianura alla montagna con le autobotti”. Adriano Bernardi è il sindaco di Demonte, un piccolo comune ai piedi delle Alpi piemontesi che si trova in una situazione di difficoltà. Qui la crisi climatica si può vedere a occhio nudo. La Stura è ai livelli di agosto e diverse sorgenti delle frazioni montane sono scomparse. E così ogni settimana dalla piana di Cuneo arrivano le autobotti a caricare le vasche. Ottomila litri per ogni rifornimento. “Una volta facevamo questo con cadenza mensile, oggi invece settimanalmente, anzi più volte a settimana” spiega Andrea Ponta il responsabile area operativa dell’Azienda Cuneese dell’Acqua che gestisce 108 comuni nella provincia Granda. E di questi 108, “settanta sono in situazione di crisi – aggiunge il presidente Acda Livio Quaranta – la fascia critica è quella di media montagna. Sembra essersi capovolto il mito della montagna ricca d’acqua”. Perché? “Sembrerebbe un paradosso – spiega l’ingegner Ponta – ma in realtà le sorgenti montane sono quelle più superficiali quindi sono più affette dalla crisi idrica, in particolare se diminuiscono le precipitazioni”.

E da questo punto di vista, il mese di febbraio è stato drammatico per il Piemonte con un deficit pluviometrico dell’87,3% (dati Anbi). “Una volta le sorgenti montane non pativano perché nevicava tanto e soprattutto perché le temperature si mantenevano basse fino a tarda primavera – conclude Ponta – oggi invece vediamo che una parte consistente della neve caduta la settimana scorsa si è già sciolta”. I segnali di questa crisi sono rimasti “inascoltati per troppi anni” secondo il presidente dell’Acda Livio Quaranta che da buon “montanaro” ricorda che negli ultimi vent’anni si sono persi nevai permanenti e piccoli ghiacciai: “Il cambiamento climatico è esploso in modo violento ma viene dal passato”. Che fare dunque? “Non serve lanciare allarmi sulla perdita delle reti, che pure è un problema – conclude Quaranta – abbiamo una rete idrica che è stata costruita con soldi pubblici fino agli anni Ottanta e Novanta. Poi per trent’anni lo Stato non ha più investito sulle reti. Invece di lanciare allarmi a vuoto lo Stato dovrebbe mettere in atto un’iniziativa decennale per rifare le reti”.

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