Cinema

Oscar 2023, i migliori escono senza premi. Il buonismo travestito e il bisogno di Hollywood di sentirsi a posto con la coscienza

I registi Spielberg e McDonagh ignorati. Quel poco di bello e coraggioso uscito dalla 95ma Notte degli Oscar arriva con i i premi a Niente di nuovo sul fronte occidentale, al documentario Navalny, al Pinocchio di Del Toro e a Women Talking di Sarah Polley per la sceneggiatura adattata

Quanto avrebbe voluto Harrison Ford premiare colui che l’ha reso “immortale” come archeologo dei sogni, ma al posto di Steven Spielberg, il grande sconfitto insieme a Martin McDonagh di questa Notte degli Oscar, si è trovato a premiare The Daniels, trionfatori per il loro Everything Everywhere All At Once con 7 statuette, di cui 3 pesantissime come miglior film, regia e attrice protagonista. Ancora una volta l’Academy ha puntato sul “nomadismo identitario” – segnalano giustamente dallo speciale di Sky Cinema i commentatori, migliori loro di un Jimmy Kimmel assai deludente – dopo Nomadland (la Cina a farla ancora più da padrona quest’anno…) e, a suo modo, CODA, nomade per il sistema di comunicazione che convola comunque nell’amore. Il buonismo travestito in generi diversi, il bisogno di Hollywood di sentirsi ancora una volta a posto con la coscienza attraverso un’opera apparentemente sperimentale, non solo sopravvalutata, ma che la critica non avrebbe così aspramente deprezzato non fosse stata “caricata” di tanto peso come 11 nomination di cui ben 7 trasformate. Se dunque ha ragione l’Academy, la cesura tra Hollywood e la critica è ormai netta. Spielberg e McDonagh – portatori dei migliori film candidati – escono senza premi.

Oltreoceano, con un balzo di spazio/tempo, a sorprendere sono per fortuna i 4 Oscar a Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, meritatosi anche il premio da Miglior film internazionale oltre a quelli per fotografia, colonna sonora e cinematografia. Lo sconvolgente war movie ispirato al seminale testo di Remarque è un manifesto alla pace dentro a un lavoro di intelligenza filmica, e i suoi riconoscimenti dialogano in tal senso con il premio al miglior documentario tributato al bellissimo Navalny di Daniel Roher: per quanto “casuali”, i due titoli intercettano la drammatica criticità contemporanea. Una tragicità resa “corpo” dal gigantesco Brendan Fraser finalmente riconosciuto tra “i grandi” grazie all’Oscar miglior attore per The Whale del sempre scomodo Darren Aronofsky. Sono il suo corpo, i suoi occhi rossi, la sua voce rotta a siglare il momento più commovente di una serata presto da dimenticare, (Lady Gaga a parte, sublime in maglietta vestita e struccata come noi) un momento che “sì” corrisponde anche per valore letterario delle fonti immortali (in The Whale “abita” Moby Dick) a un altro film premiato, il Pinocchio di Guillermo Del Toro, salito sul palco a ritirare l’Oscar per il film d’animazione e con la consueta dolcezza a dichiarare “Io sono vostro figlio”. Sono le grandi fiabe a rendere eterni i sogni (per questo presto ci scorderemo di EEAAO…), è l’immaginazione di un gruppo di donne a restituire la complessità del vero femminismo: ecco perché va plaudito anche l’Oscar a Women Talking di Sarah Polley per la sceneggiatura adattata. Un ipotetico duetto con le Pupille di Alice Rohrwacher sarebbe stato perfetto.

Insomma, quel poco di bello e coraggioso uscito dalla 95ma Notte degli Oscar – una cerimonia dalla formula non solo moribonda ma ormai in semidecomposizione – restituisce un po’ di luce a un pachiderma ormai intrappolato nel “buco nero” del politicamente corretto, del buonismo, della giostra degli applausi reciproci che si sa vengon fatti per non sfigurare, con qualche eccezione a parte. Del resto, se si danno i pugni poi si viene “allontanati”. Che sia venuta l’ora di trasformare i membri dell’Academy nelle pietre parlanti di EEAAO? Per inciso, una delle poche scene veramente geniali del film, insieme al monologo della burocrate all’agenzia delle entrate, ovvero una (finalmente) premiata Jamie Lee Curtis.