Sono colorati di Asia e parlano tedesco gli Oscar 2023. Everything everywhere all at once e Niente di nuovo sul fronte occidentale trionfano e raccolgono quasi anche le briciole. Il film dei The Daniels si porta a casa ben 7 Oscar su 11 nomination (film, regia, sceneggiatura, montaggio, attrice protagonista, attore e attrice non protagonista); mentre quello del tedesco Edward Berger, tratto dal romanzo di Erich Maria Remarque, 4 su 9 (film internazionale, fotografia, colonna sonora, scenografia).
GRANDE EMOZIONE PER FRASER – Sconfitti clamorosamente Elvis, The Fabelmans, Tar e Gli spiriti dell’isola (tutti a 0). Mentre The Whale segna due (miglior attore e trucco) e Black Panther: Wakanda Forever, Avatar: Le vie dell’acqua, Top gun: Maverick stazionano a 1. E se l’Oscar al film e alla sceneggiatura potevano anche passare, Daniel Kwan e Daniel Scheinert registi che superano Spielberg regista è una di quelle rivoluzioni da merendine confezionate perbene che parla da sola. Anzi parla Scheinert che all’ottantesimo Oscar ringrazia come un pulcino bagnato la mamma, mamma che Spielberg in The Fabelmans letteralmente fa a pezzi. Grande emozione per Brendan Fraser, Oscar come Miglior Attore, che si riprende lo spazio in cima alla collina di Hollywood che la stessa industria gli aveva sottratto dopo averlo spremuto da ragazzo e gettato come uno straccio. “Probabilmente il multiverso è questo”, ha scherzato il protagonista di The Whale (due Oscar e Darren Aronosfky relegato in tribuna) richiamando il film trionfatore dei The Daniels. Anche Michelle Yeoh, compagna di Jean Todt (tutta la sera seduto smarrito modello box Ferrari di fianco a lei) ha finalmente il suo “sogno americano”. Lei che è originaria per metà malese e metà di Hong Kong e nel film vincitore interpreta una cinese (sic) ha avuto uno slancio di carriera dopo aver fatto la modella alla fine dei novanta come Bond girl e poi è stata dimenticata: “Signore non lasciate mai che vi dicano che avete passato una certa età per poter recitare”, ha scherzato anche lei. Niente schiaffi comunque quest’anno alla cerimonia degli Oscar, pochissimo se non nullo black power – Spike Lee che dirà? – ma la rievocazione dello sputo veneziano di Chris Pine a Harry Styles è puntualmente arrivata.
I LAMPI DELLA SERATA – Tra i pochi lampi di una serata monotona e svelta, citiamo la sorpresa di Lady Gaga – non doveva cantare – che invece si presente in t-shirt, pantacalze e senza trucco in viso e si esibisce in una versione maestosa unplugged di Hold My Hand da Top Gun: Maverick. Buffo anche l’intermezzo in cui sbuca sul palco l’asinella Jenny, superprotagonista assieme ad altri splendidi animali de Gli spiriti dell’isola, e Colin Farrell sul set con lei le manda un bacio sincero. Altro lampo la battuta di Hugh Grant che si ritrova con Andy McDowell a premiare il miglior scenografo ed elogia le creme idratanti che hanno mantenuto giovanissima la collega di Quattro matrimoni e un funerale, ma lui che non le ha utilizzate “somiglia ad uno scroto”. Infine il dolore sincero di John Travolta che lancia la carrellata dei defunti In Memoriam e si commuove appena gira l’occhio e vede che la prima ad essere ricordata è Oliva Newton John sia compagna all’epoca di Grease. Infine una notazione commerciale: l’indipendente A24 (produttori di EEAO e The Whale) e Netflix (sei Oscar in tutto tra cui Niente di nuovo…) saltellano felici sulle spoglie delle major tradizionali come forse non è mai accaduto agli Oscar.
PREMIATO LO SHORTY DI INDIANA JONES – La serata inizia tra barocchi e penzolanti drappi rossi per gli ospiti in entrata al Dolby Theatre. Il presentatore Jimmy Kimmel – moscetto – arriva sul caccia di Top Gun: Maverick e si cala sul palco con un paracadute come Tom Cruise – assente, come James Cameron. Ad aprire le danze è Guillermo Del Toro che vince a mani basse un Oscar per il miglior film d’animazione con il Pinocchio a passo uno andato in streaming su Netflix. Tocca poi al momento degli scalmanati. Urla, lacrime, strepiti per il Miglior attore e attrice non protagonisti. L’Academy esagera e pesca nel caos di Everything everywhere all at once sia per il 54enne Ke Huy Quan (lo Shorty di Indiana Jones), nel film dei Daniels marito della protagonista, che per la 64enne Jamie Lee Curtis, impiegata delle tasse. Lui si dimena come un pazzo e ricorda che sta vivendo un “american dream” (sic) visto che dovette migrare con un barcone (?) dal Vietnam del Sud e si fece un anno di campo di prigionia. Lei, che avrebbe potuto vincere un Oscar anche solo per Una poltrona per due, in fondo capisce che vincerlo indossando degli hot dog al posto delle dita è ridicolo e infatti si commuove pensando che papà Tony Curtis e mamma Janet Leigh non lo vinsero mai. Tocca poi al corto irlandese An irish goodbye cancellare i sogni di Alice Rohrwacher e delle sue Pupille; mentre pur non essendoci un messaggio di Zelensky anche qui c’è però un Navalny, come miglior documentario diretto da Daniel Roher. Piuttosto sorprendente, anche se ha fatto un lavorone soprattutto di sostanza l’Oscar alla miglior fotografia per James Friend di Niente di nuovo sul fronte occidentale. Parecchio letterale il premio al miglior trucco (out il nostro Aldo Signoretti per Elvis) ottenuto dal trio Adrien Morot, Judy Chin e Annemarie Bradley in The Whale che, appunto gonfiano con tuta prostetica (e francamente fan ben poco altro) di 130 kg il protagonista Fraser.
GLI ALTRI OSCAR – Ruth Carter vince l’Oscar per i migliori costumi con le sue eufemisticamente eccentriche creazioni per il regno di Wakanda in Black Panther: Wakanda Forever. Il regista Edward Berger ritira la statuetta per il Miglior Film Internazionale con Niente di nuovo sul fronte occidentale allungando a quattro la linea del pallottoliere degli Oscar dei film a produzione tedesca dopo Il Tamburo di Latta, Nowhere in Africa e Le vite degli altri. Si celebrano la vita degli animali e il loro meno disumano rapporto con l’uomo sia con l’indiano The Elephant Whisperers (Oscar Corto Doc) e Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo (Oscar Corto Animato). Christian Goldbeck triplica gli Oscar per Niente di Nuovo sul fronte occidentale vincendo l’Oscar come miglior scenografia e un attimo dopo ecco che la lotta tra titani per la miglior colonna sonora (John Williams, Carter Burwell, Justin Hurwitz) che vede emergere inaspettatamente il tedesco Volker Bertelmann. Attorno alle 3 e mezza di notte Avatar: Le vie dell’acqua raccoglie un Oscar a dir poco ammuffito: quello per gli effetti speciali del 3D a cui non crede più nemmeno la maschera che strappa i biglietti.
Qualche istante dopo si rivede Sarah Polley che raccoglie un regalone al passo coi tempi: Oscar alla sceneggiatura non originale per Woman talking tratto dal romanzo di Miriam Toews, basato sulla silenziosa ribellione di un gruppo di donne di una comunità mennonita che sono state violentate per anni sotto sedazione mentre dormivano. Bigné a forma di Oscar anche al team che ha curato il sonoro di Top Gun: Maverick, blockbuster taumaturgico per gli incassi delle sale nel mondo. Altro bon bon inclusivo l’Oscar alla canzone originale Naatu Naatu tratto dal polpettone bollywoodiano RRR e scritta dall’indiano MM Keeravani. Il montatore Paul Rogers di Everything everywhere alla at once vince la gara nella sua sezione tra concorrenti alla prima nomination. E da qui, eccetto l’Oscar a Brendan Fraser, è tutta una cavalcata trionfale di EEAO che segna il passo ma non batte record – Titanic, Ben Hur e Signore degli anelli volano ancora lontani a 11 Oscar.