Con le unghie, con i denti, col fiatone, con il cuore, con tanta fortuna. Con qualsiasi cosa avesse a disposizione, e questa sera non era molto, ma comunque abbastanza per tornare dopo dodici anni tra le migliori 8 d’Europa. L’Inter di Simone Inzaghi pareggia 0-0 contro il Porto, difende il gol preziosissimo segnato da Romelu Lukaku tre settimane fa a San Siro e si qualifica per i quarti di finale di Champions. L’Inter dei 27 gol subiti in trasferta in campionato esce indenne dal temibile Dragao, a dimostrazione che i problemi di questa squadra sono più nella testa che sul campo. Lo fa a dire il vero con una prestazione tutt’altro che entusiasmante. Una gara di rara bruttezza, enorme sofferenza, ma anche pochi rischi veri, fino a quel pazzo minuto di recupero finale in cui si salva tre volte sulla linea e sui pali in una manciata di secondi.
Era il match dell’anno per i nerazzurri. I calciatori si giocavano la stagione, Inzaghi probabilmente la panchina. E questo forse ha fatto la differenza, rispetto a tante altre partite buttate per una questione di dettagli. Stavolta no. La gara è rimasta per novanta minuti su un filo sottilissimo dell’equilibrio, e il merito dell’Inter è stato quello di riuscire a non farlo spezzare. Si salva questo e poco altro della notte di Oporto, perché il gioco è stato inesistente, le idee poche e confuse, tanti protagonisti attesi evanescenti, da Lautaro a Barella, e i soli Acerbi, Darmian e Onana a tenere in piedi la baracca. Ma non contava altro.
Forte dell’1-0 dell’andata l’Inter aspetta, il Porto non si spazientisce. In fondo entrambe le squadre scelgono la stessa strategia, in versione solo leggermente diversa. Speculare sull’errore altrui, il Porto sul pressing sulla difesa nerazzurra, l’Inter sulla ripartenza in campo aperto. Ma nessuno si scopre. Sérgio Conceição, più che attento, è proprio guardingo. Quanto a Lautaro&C., le combinazioni giuste non si innescano quasi mai. Il primo tempo rimane tutto sotto ritmo, in attesa di qualcosa che non succede. Due tiri dalla distanza dei padroni di casa. Un contropiede potenzialmente molto più pericoloso, condotto male da Barella. Davvero troppo poco, tanto valeva la pena passare subito al secondo.
Il piano di Conceição sembra funzionare meglio di quello di Inzaghi. Con i quinti bassissimi, Dumfries in difficoltà, l’Inter non riesce a ripartire. Solo Calhanoglu mantiene la lucidità, la pulizia nel palleggio che una partita simile richiede, ma imposta verso il nulla. Mentre il Porto esce più forte dagli spogliatoi. Aggredisce, asfissia. L’Inter si schiaccia, troppo. Soffre, quasi più la fatica degli avversari: a un quarto d’ora dalla fine il Porto ancora non ha praticamente tirato in porta ma Darmian, Dimarco e Bastoni sono sulle ginocchia. Inzaghi si aggrappa a Lukaku, butta dentro anche il “traditore” Skriniar, i vecchi De Vrij e D’Ambrosio. C’è bisogno di tutti.
Il tempo scorre lento, per i padroni di casa è quasi un assedio ma per spezzarlo manca quel pizzico di qualità, per cui quella di Conceição è solo una buona squadra europea, e niente di più. L’Inter vede ormai il traguardo quando nel recupero si annebbia la vista e la stanchezza mista all’adrenalina delle notti di Champions producono un minuto di terrore puro: prima il miracolo di Dumfries sulla linea, poi quello di Onana che spinge sul palo il tap in di Taremi, infine di un qualche dio del calcio che butta sulla traversa la testata di Gruijc che però sarebbe stato in fuorigioco. L’Inter ringrazia e festeggia i quarti di Champions. La sensazione è che ci sia arrivata soprattutto per aver incontrato, per una volta, una squadra semplicemente più scarsa di lei.