Comincerà il prossimo 25 maggio il processo nei confronti di Enrico Laghi, ex commissario straordinario dell’Ilva di Taranto, finito ai domiciliari il settembre 2020 (e poi tornato in libertà) nell’inchiesta condotta dalla procura di Potenza sulla presunta rete di affari e interessi intorno all’acciaieria ionica. La giudice per l’udienza preliminare di Potenza, Annachiara Di Paolo, ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura e disposto l’avvio del dibattimento che vedrà comparire in aula, oltre al manager, una serie di imputati tra i quali l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo.
Laghi è accusato di corruzione in atti giudiziari e concussione: per il procuratore Francesco Curcio e i sostituti Anna Piccininni e Giuseppe Borriello, è il “mandante e organizzatore” di una azione criminosa che impose a due dirigenti dell’Ilva, imputati in alcuni processi penali dinanzi al tribunale ionico, di nominare come difensore l’avvocato Giacomo Ragno, uomo ritenuto vicino all’ex procuratore Capristo che invece deve difendersi dall’accusa di aver garantito “una particolare e favorevole attenzione alle esigenze di Ilva in As” in cambio dell’interessamento alla propria carriera. Laghi, inoltre, abusando della sua posizione al vertice della struttura di Ilva in Amministrazione Straordinaria, attraverso il suo factotum, Nicola Nicoletti, avrebbe costretto i dirigenti Salvatore De Felice e Ruggiero Cola a firmare il mandato difensivo a favore di Ragno: un’azione che – secondo la procura – non solo consentiva a Ragno di incassare parcelle per 273mila euro, ma comprimeva “il diritto inviolabile ed inalienabile degli indagati/imputati a scegliersi – scrivono i pubblici ministeri – liberamente e senza costrizioni e condizionamenti, un difensore di fiducia”.
In sostanza questa nomina, secondo l’accusa di Potenza, non solo non avrebbe favorito in alcun modo Cola e De Felice, ma li avrebbe svantaggiati al punto che “in procedimenti di eccezionale delicatezza e complessità nei quali erano indagati o imputati si vedevano – si legge negli atti dell’inchiesta – difesi dall’avvocato Ragno Giacomo professionista, non solo, non di loro fiducia, non solo da loro per nulla conosciuto né personalmente né professionalmente, ma, anche, privo di specifiche esperienze professionali nel settore dei reati ambientali specie in contesti, come quelli della produzione dell’acciaio, che richiedono una specifica e collaudata competenza”.
Le accuse nei confronti di Laghi sono giunte dalle dichiarazioni rese ai pubblici ministeri da Piero Amara, l’ex avvocato siciliano di Eni e Ilva, e dal consulente Nicoletti. Nell’ordinanza che aveva portato Laghi ai domiciliari, il gip di Potenza, aveva già indicato Laghi come un “soggetto attivo della corruzione in atti giudiziari” e “il regista occulto e spregiudicato” che aveva lavorato per tenere al riparo l’ex Ilva dalle azioni che avrebbero potuto danneggiare la sua vendita ai privati, obiettivo principale dell’allora governo guidato da Matteo Renzi che lo avevano nominato. Grazie al legame stabilito con Carlo Maria Capristo, all’epoca capo della procura tarantina, Laghi avrebbe ottenuto corsie preferenziali in una serie di procedimenti che vedevano coinvolta la fabbrica. Come ad esempio nel maxi processo Ambiente svenduto in cui, grazie a servigi di Amara, sempre secondo l’accusa, raggiunse con la procura l’accordo per il patteggiamento poi rigettato dalla Corte d’Assise.
Oppure per l’incidente mortale che costò la vita ad Alessandro Morricella e portò al sequestro di Afo2: per l’accusa Capristo fece pressioni sui suoi sostituti per concedere il dissequestro dell’impianto. E ancora nel procedimento penale per la morte di un altro operaio nel quale su indicazione di Amara, la procura nominò un consulente gradito a Ilva in As e concesse in poco più di 24 ore il dissequestro del nastro trasportatore in cui aveva perso la vita Giacomo Campo. Per la procura di Potenza, la “svendita stabile delle funzioni giudiziarie” da parte di Capristo era il favore da restituire per l’interessamento di Amara alla sua nomina come capo degli inquirenti tarantini.