Da Invaders from Mars, del ’53, di William Cameron Menzies a Invasion of the Body Snatchers del ’56 di Don Siegel, gli alieni del cinema Usa sono sempre stati, tranne qualche rara eccezione, cattivi, anzi molto cattivi e, in realtà, nell’immaginario collettivo americano hanno rappresentato, durante la ‘guerra fredda’, il pericolo sovietico.

Per far diventare buoni gli extraterrestri, dopo il breve periodo della ‘stagnazione’, dovremo attendere Gorbačëv e la sua glasnost. E oggi, dopo l’invasione russa in Ucraina? L’attore Gene Farber nato a Minsk, in Bielorussia, ma naturalizzato americano (Virtuality, 2010; X-Men: First Class, 2011; Captain America: Civil War, 2016, per citare alcune delle sue più note interpretazioni), intervistato da El Mundo ha dichiarato: “Noi russi siamo ancora una volta i cattivi nei film di Hollywood, sia che la guerra in Ucraina finisca o che continui”.

Un conflitto, quello russo-ucraino, che ha dunque strascichi non soltanto legati alla geopolitica, ma anche alla erronea percezione della cultura russa che con Putin ha ben poco a che fare. Chi volesse analizzare il senso più profondo dell’aggressione putiniana all’Ucraina vista anche nell’ottica della Casa Bianca (e molto, molto altro), ma volesse farlo con una profondità di campo acquisita sul campo, non può non leggersi il recentissimo saggio di Giuseppe Sarcina Il mondo sospeso (Solferino).

Sarcina è un giornalista vecchio stampo che affronta con approccio ‘socratico’ i fatti. Dal 2015 è stato corrispondente del Corriere della Sera (dove lavora da 28 anni) negli Stati Uniti (prima a New York e poi a Washington) e prima lo era stato a Bruxelles, ma ha anche affrontato, come inviato, varie situazioni complesse: nel 2014, a Donetsk, in Ucraina, per raccontare la ‘rivoluzione di Maidan’ e, prima ancora, nel 2011, in Libia, dove era stato sequestrato, insieme con altri tre colleghi, da un gruppo di guerriglieri.

Nel suo libro Sarcina parte da un ritratto del segretario di Stato Usa, Anthony Blinken e delle eterogenee personalità incrociate prima del suo debutto in politica, con “una vita in cui John Lennon si mescola con Valéry Giscard d’Estaing; il regista Abel Ferrara con l’artista Christo; il pianista Leonard Bernstein con Catherine Deneuve” per poi dichiarare ai deputati americani, già a inizio 2021: “Rimetteremo Putin al suo posto” […] “il governo Usa non tollererà altre intrusioni, ma proveremo a trattare con Mosca ‘nei settori di interesse comune’” quando […] “nessuno immaginava che da lì a undici mesi sarebbe venuto il momento dei carri armati e dei missili”.

Inizialmente Joe Biden aveva sollecitato Putin a riprendere il dialogo (la Russia dispone di “4500 testate atomiche, contro le 3800” degli Usa). Dopo l’aggressione all’Ucraina, il 24 febbraio 2022, “la propaganda russa” scrive ancora Sarcina, “sta alimentando lo scontro. Ma trovo anche sbagliato liquidare come invasato o utile idiota al servizio di Putin chi semplicemente avanza critiche o perplessità”.

Il presidente Usa, comunque, “offrì a Putin un ampio accordo sul disarmo, a partire dai missili che più preoccupavano Mosca. Sarebbe stato il modo migliore per azzerare le tensioni, le recriminazioni, più o meno fondate, e ‘stabilizzare’ davvero, su basi concrete, il rapporto fra Nato e Russia. Putin, però, vale la pena di ripeterlo ancora: rifiutò la proposta di Biden assumendosi la responsabilità della rottura e portando l’Europa verso la guerra”.

Sarcina analizza anche la situazione ucraina prima della guerra aperta con la Russia: “La corruzione era la regola nella vita politica ucraina prima e anche dopo la rivolta di Maidan. Il peso degli oligarchi arriva fino a Volodymyr Zelensky” eletto nel 2019, “sponsorizzato, tra gli altri dal banchiere Kolomoisky“.

“Ho avuto subito l’impressione che il movimento dei filorussi fosse animato da sentimenti sinceri e reali. Sin dall’inizio, però, il nucleo di comando pur non avendo armi a disposizione, se non mazze da baseball e qualche vecchia carabina, aveva scelto una linea di scontro, anche violento se necessario. Alle prime proteste parteciparono un centinaio di persone”.

Ma il saggio di Sarcina va oltre: tenendo insieme, scrive Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera “l’analisi geopolitica e il racconto di questo anno di guerra. La psicologia dei protagonisti e le conseguenze economiche del conflitto. Gli ondeggiamenti dell’Europa occidentale e la decisione dei Paesi dell’Europa nordorientale – a cominciare dal più importante, la Polonia, ma anche dei baltici e degli scandinavi – di fidarsi ormai solo degli Stati Uniti, con buona pace di Parigi e Berlino. L’ultimo capitolo è dedicato alla politica estera italiana“.

Particolarmente interessanti i dati forniti da Sarcina a proposito della vendita di armi: “La Lockheed Martin” il maggior contraente militare degli Usa “stima di chiudere il bilancio 2022 con vendite pari a 65 miliardi di dollari, contro i 67 dello scorso anno”. Con la guerra ha, dunque, venduto meno. Perché? “Dal 24 febbraio alla fine di ottobre 2022, l’Amministrazione Biden ha fornito aiuti militari all’Ucraina per un totale di 17,6 miliardi di dollari. Ma di questi circa 13 miliardi provenivano dagli stock dell’esercito o dell’aviazione, a cominciare dai missili anticarro Javelin, quelli antiaereo Stinger, le piattaforme di missili a lancio multiplo Himars fino ai droni-kamikaze Switchblade”.

Insomma, un trionfo dell’usato (“solo un quarto degli armamenti inviati a Zelensky è di nuova produzione”). Vecchie o nuove armi restano i morti. Al di là dei vari balletti propagandistici sui numeri, i dati Onu parlano di 7mila morti, fra cui 456 bambini, e 11mila feriti fra gli ucraini (dati fine gennaio) e, secondo il New York Times, hanno perso la vita 200mila soldati russi.

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