Se il presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, conserva in casa il busto dell’amato duce…
Se il viceministro Galeazzo Bignami si travestiva da nazista..
Se il ministro Giuseppe Valditara può puntare l’indice contro la preside di Firenze che difende la Costituzione…
Se gli squadristi possono assaltare gli studenti del liceo Michelangelo…
Se il ministro Matteo Piantedosi non manifesta pietas per le vittime innocenti di Cutro…
Se il governo dimentica di onorare le bare…
Se il trio Meloni, Berlusconi, Salvini si esibisce ne La canzone di Marinella la sera medesima.
Se la giunta di destra di Grosseto arriva a realizzare la par condicio toponomastica titolando una strada a Giorgio Almirante, firmatario del manifesto della razza, e una a Enrico Berlinguer, fiero combattente antifascista…
Premessi questi se, e tralasciamo gli altri, perché meravigliarsi se il signor Claudio Anastasi, manager pubblico, nominato dalla presidente del Consiglio abbia ritenuto normale utilizzare le ignobili parole pronunciate da subito dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti? Travolto dalle critiche è stato costretto alle dimissioni, ma lui quelle parole le aveva sentite nell’aria, le aveva fiutate, le sentiva figlie dello “spirito dei tempi”. Lui ha fatto bene ad andarsene. E le altre e gli altri?