È istruttivo notare come il crac della banca californiana Silicon Valley Bank stia infilzando molti dei marchi più luccicanti della finanza internazionale. L’ultimo è quello di Goldman Sachs, “la banca d’affari più prestigiosa del mondo”. Stando a quanto ricostruisce il quotidiano statunitense New York Times, Svb sarebbe stata avvertita qualche giorno prima del fallimento dall’agenzia di rating Moody’s su un possibile abbassamento del voto di affidabilità finanziaria, alla luce delle perdite che si stavano accumulando sul portafoglio di titoli di stato statunitensi. Per scongiurare questa eventualità la banca ha messo in campo un piano di rifocalizzazione dei suoi investimenti, i titoli di stato avrebbero dovuti essere venduti e il ricavato utilizzato per comprare prodotti finanziari più redditizi. Per gestire la vendita di 21 miliardi di dollari in titoli Usa si rivolge quindi ai “numeri uno”, Goldman Sachs appunto, che, liquidati i titoli ha iniziato a contattare gli investitori per proporre di sottoscrivere l’aumento di capitale da 2,2 miliardi di dollari necessario a Svb per ripianare le perdite. Ma l’operazione non è andata benissimo come attesta il fallimento, poche ore dopo, della banca. Goldman Sachs incasserà comunque una commissione di 100 milioni di dollari.
Due settimane prima del collasso i bilanci della banca californiani erano stati certificati dalla società di revisione contabile e consulenza Kpmg che ne aveva attestato la “salute finanziaria”. Moodys’ che pure ipotizzava un taglio del rating ha mantenuto il suo giudizio sulla società su un livello di affidabilità medio-alta fino al fallimento. A poche ore dalla bancarotta gli analisti di Jp Morgan consigliavano di comprare le azioni. Quasi puerile a confronto la scivolata della rivista specializzata Forbes che lo scorso febbraio aveva inserito Svb nella lista delle migliori banche d’America.