Di Mixer 20 anni di televisione si è parlato finora più per fattori esterni che per il programma in sé. Su tutto ha prevalso da un lato la figura dell’ideatore e conduttore, Giovanni Minoli, tornato alla ribalta in questi giorni anche per atre questioni, dall’altro il risultato di audience inferiore alle attese. Forse, a questo punto, gettare uno sguardo dentro al prodotto, è un esercizio di qualche utilità.
L’idea di Minoli di riprendere la sua più famosa creatura Mixer per raccontare a quarant’anni di distanza la società di quei famosi anni ottanta e la rappresentazione che la tv ne faceva è, come sempre, un’idea assai ambiziosa. La realizzazione segue due linee. La prima è quella della giustapposizione: prendere brani di varie puntate di Mixer dello stesso periodo ma di genere diverso e metterli in sequenza per creare un affresco dell’epoca.
Su questa linea non mancano risultati interessanti. Per esempio, appare con una certa evidenza la tendenza a occuparsi di vicende, politiche ma soprattutto culturali straniere. Sembra che si voglia finalmente allargare lo sguardo oltre i confini dopo un decennio in cui le emergenze della vita nazionale avevano concentrato su di sé tutta l’attenzione. Non è ancora globalizzazione ma una decisa internalizzazione in cui spicca l’interesse per la cultura americana.
Ma i veri confini che cadono all’interno di Mixer più che quelli geopolitici sono quelli di natura linguistica, le divisioni e le separazioni di genere. Se in precedenza i vari settori dell’informazione prevedevano un loro linguaggio specifico, per cui la politica veniva trattata secondo certe modalità discorsive, la cultura ne richiedeva altre e lo sport altre ancora ben diverse, Mixer ha annullato queste distinzioni. E così non vi è più alcuna differenza nel modo di intervistare Agnelli o Armani, Berlinguer o Falcao. Ancor più che nelle bizzarrie dell’intervista in piscina, in questo si nota la portata innovativa del programma.
Poi c’è la seconda strada che non segue più la logica dell’allineamento, ma interviene in sede di montaggio rimescolando e intrecciando vari brani di interviste in origine separate. Accade così che sul tema delle brigate rosse, della loro vera natura si confrontino virtualmente Berlinguer, Craxi e Kissinger e che all’interno dell’intervista De Mita si inserisca il celebre intervento di Agnelli sulla dimensione intellettuale astratta del segretario democristiano, che risponde per le rime per lasciare a Eugenio Scalfari il compito di approfondire il problema.
Un esperimento di montaggio piuttosto intrigante capace di trasformare le vecchie interviste in una sorta di talk show impossibile, che rischia di rivelarsi assai più stimolante di quelli che affollano i palinsesti di oggi.