Se lo contendevano, lo coccolavano, lo chiamavano parrino o ‘u dutturi, gli inviavano lettere appassionate ed erano quasi gelosi del tempo che passava con gli altri. Era un legame profondissimo quello che legava alcuni componenti della famiglia Bonafede a Matteo Messina Denaro. Più la procura di Palermo va avanti nelle sue indagini sui protettori della latitanza dell’ultimo boss delle stragi, più si allarga il periodo in cui il capomafia ha trovato sicuramente rifugio a Campobello di Mazara. Per trent’anni lo hanno cercato ovunque, lui invece era lì, a pochi chilometri dalla sua Castelvetrano. E non solo da quando aveva scoperto di essere malato di tumore. Nell’ordinanza di misura cautelare per gli ultimi favoreggiatori del boss finiti in manette, il gip Alfredo Montalto scrive che Messina Denaro si muoveva in provincia di Trapani da almeno sette anni. Almeno dal gennaio del 2017, cioè da quando Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri gli avevano chiesto di fare da “padrino” di cresima per il loro primogenito.
La normale esistenza di Matteo Messina Denaro – Nelle carte dell’ultima operazione della procura di Palermo, il gip definisce l’arresto che ha messo fine a trent’anni di latitanza come una “brillante operazione di polizia che finalmente riscatta l’incredibile ‘flop‘ di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale“. Nonostante la zona fosse “costantemente setacciata e controllata con sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di luoghi strategici” gli investigatori non possono fare a meno di notare come ciò non abbia “impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno sette), una ‘normale’ esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente), nonché, a tanti, persino la sua identità e addirittura affidando la tutela della sua latitanza, come pure oggi sappiamo, al nucleo familiare dei Bonafede”.
Una famiglia di fiancheggiatori – Nei giorni immediatamente successivi all’arresto, a Campobello dicevano che i Bonafede erano tutti delle bravissime persone. Certo, c’era quel problema del vecchio Leonardo, recentemente defunto: si trattava dell’ex capomafia del Paese, vicinissimo a don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo. Secondo alcune sentenze passate in giudicato, ‘Nardo Bonafede era stato scelto per gestire la latitanza dell’importante boss di Castelvetrano, l’ultimo mafioso in libertà a conoscere i segreti delle stragi degli anni ’90. Oggi si scopre che molti suoi parenti hanno aiutato Messina Denaro a rimanere un inafferrabile. Era un fantasma, ma solo per le forze dell’ordine. E questo grazie ai Bonafede. Un nipote del vecchio ‘Nardo, Andrea Bonafede nato nel 1963, è il geometra che ha “prestato” al boss la sua identità per poter accedere alle cure oncologiche; un altro nipote, Andrea Bonafede del 1969, faceva da postino alle prescrizioni mediche firmate dal dottor Alfonso Tumbarello: in una nota audio, il boss lo definisce “un mio operaio che è un negro e che io mando dal mio medico”. Poi c’è Emanuele, che ospitava quotidianamente il boss a casa sua e nella corrispondenza del padrino era indicato con lo pseudonimo “Malo“, abbreviativo di “Maloverso“. Quindi la moglie di quest’ultimp, Lorena Lanceri, detta “Diletta” o “Lesto“, oppure ancora “Tramite“, nickname usato per chi era responsabile della circolazione dei pizzini. Tutti avevano il loro nome in codice, tutti avevano un ruolo. Tutti, infine, stanno finendo in carcere.
Il dottor Francesco Salsi – Dopo l’arresto di Messina Denaro, i coniugi Bonafede-Lanceri erano andati a raccontare ai carabinieri di aver conosciuto il capomafia da qualche tempo, ignorando però quale fosse la sua verà identità: per loro era “Francesco Salsi“, un medico anestesista in pensione. Tutto falso, secondo i carabinieri del Ros, guidati dal colonnello Lucio Arcidiacono: le telecamere di sorveglianza nei dintorni di casa Bonafede, infatti, provano che Messina Denaro frequentava quell’abitazione quasi ogni giorno, soprattutto a pranzo e cena, pura l’ultima sera trascorsa in libertà, prima dell’arresto. E quando il fantomatico dottor Salsi doveva lasciare l’appartamento, i due coniugi andavano in avanscoperta in strada, per controllare che non ci fossero pattuglie di controllo. Grazie all’ospitalità ricevuta dalla coppia, dunque, l’ex inafferrabile “ha evitato di doversi recare presso supermercati o ristoranti per provvedere a tali necessità primarie”, scrive il gip, accettando la richiesta di arresto avanzata dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, e dall’aggiunto Paolo Guido. “Si deve dunque ritenere, in sintesi, – si legge sempre nelle carte – -che Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri erano da un lato pienamente consapevoli della reale identità del soggetto che frequentava abitualmente la loro abitazione e, dall’altro, fornendogli abitualmente ospitalità, lo hanno concretamente aiutato ad eludere le ricerche delle forze di polizia”. D’altra parte, riflette il gip, “una latitanza che si protrae per quasi trenta anni presuppone necessariamente l’esistenza di un ampio numero di persone disponibili a soddisfare ogni esigenza, di vita, di comunicazione, di spostamento e di relazioni personali e sociali del soggetto che si sottrae alle ricerche dell’autorità”.
Lettere di passione per Md – A Campobello di Mazara, evidentemente, erano parecchie le persone disponibili a proteggere il boss delle stragi. A cominciare dai coniugi Bonafede, che gli hanno consentito “di fruire di una assistenza prolungata e premurosa e conseguentemente di mantenere quella apparenza di vita normale che ha senza dubbio costituito uno dei pilastri della pluridecennale capacità di Messina Denaro di nascondersi e mimetizzarsi pur rimanendo attivo sul suo territorio”. In casa dei Bonafede, il capomafia non riceveva solo ospitalità ma poteva pure incontrare “numerose persone ancora da identificare” e altre già note, come Andrea Bonafede, il geometra che gli aveva prestato l’identità. Dalle indagini emerge poi il fortissimo rapporto che legava Lorena Lanceri all’ex latitante: gli inquirenti hanno scoperto che la donna usava spesso il cellulare del boss. E che il capomafia aveva parlato della sua esistenza con un’altra paziente della clinica La Maddalena di Palermo, il centro oncologico dove era in cura. Messina Denaro aveva raccontato di avere una relazione con tale “Diletta” e più volte aveva messo in comunicazione le due donne con una serie di note vocali su whatsapp. Diletta è anche l’autrice di una lettera appassionata, indirizzata al boss nel 2019 e ritrovata tra le carte di Rosalia Messina Denaro, la sorella dell’ex latitante arrestata due settimane fa. “Il bello nella mia vita è stato quello di incontrarti, come se il destino decidesse di farsi perdonare facendomi un regalo in grande stile. Quel regalo sei tu”, scriveva la donna, tradendo sentimenti evidentemente più forti della semplice amicizia. “Penso che qualsiasi donna nell’averti accanto si senta speciale ma soprattutto tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini”, continuava, prima di tradirsi con l’ultima frase: “Sei un grande anche se non fossi MD. Tua Diletta”. Per gli inquirenti è la prova: Diletta, alias Lorena Lanceri, sapeva di avere a che fare con Messina Denaro. E lo sapeva da epoche “certamente risalenti ad un periodo anteriore al gennaio 2017, epoca in cui il Messina era stato scelto dalla coppia per fare da ‘padrino‘ di cresima per loro figlio Giuseppe”, scrive il gip nelle carte.
Rolex in regalo al “figlioccio” – Il boss mafioso, tra l’altro, doveva essere parecchio affezionato al figlio dei Bonafede: per la cresima, infatti, aveva fornito il denaro necessario per acquistare al ragazzo un Rolex Oyster Perpetuai. Costato 6.300 euro, era stato comprato alla gioielleria Matranga, una delle più rinomate di Palermo. Gli investigatori, però, hanno scoperto che quel costoso orologio non era stata compilata la scheda cliente e, dunque, non era possibile risalire all’acquirente, contrariamente a quello che prevedono le regole interne della gioielleria. Solo nel 2017, tra l’altro, su 817 Rolex venduti, soltanto 7 risultavano privi di quella scheda: chi li ha comprati? Tutti Messina Denaro? È nota, infatti, la passione per gli orologi di lusso dell’ex superlatitante. Il giorno dell’arresto, il padrino indossava un Franck Muller da trentamila euro. Nella stessa giornata i carabinieri erano andati a perquisire casa della sorella, trovando altri quattro Rolex del valore di circa cinquantamila euro. Traccia dell’acquisto dell’orologio per il giovane Bonafede, tra l’altro, si trova anche nella contabilità personale, tenuta in modo maniacale da Messina Denaro nel suo appartamento. Nel 2017, infatti, il boss annotava di aver speso in totale 18.350 euro, specificando che a questi, andavano aggiunti “6.300 OROL“. e “540 ORO“.
“Voglio portare amici in casa, c’è ancora il parrino?”- Secondo gli investigatori pure il figlio dei Bonafede conosceva la vera identità di Messina Denaro. Giuseppe Bonafede, 20 anni, studia ingegneria a Palermo e a lui il capomafia si rivolge chiamandolo “figlioccio“. Lo fa per esempio il 13 gennaio scorso, quando su whatsapp gli scrive: “Figlioccio io sono a Palermo …. “. Il boss delle stragi, dunque, aveva anche un appoggio nel capoluogo siciliano, dove si sottoponeva alla chemioterapia alla clinica La Maddalena? Di sicuro è che spessissimo si trovava in casa dei Bonafede a Campobello di Mazara. Un’abitudine che costringeva tutta la famiglia a prendere precauzioni. Per esempio quando il giovane Bonafede aveva intenzione di portare amici in casa, doveva prima chiedere alla madre se il “parrino” fosse andato via: “Vorrei fare venire i ragazzi … siamo in 4. Fammi sapere quando…”. Il giovane doveva pure stare attento quando doveva ricevere la consegna di testi universitari: “Ho ordinato libri di ingegneria e arrivano domani, domattina vado a fare colazione alle 10.30…e se viene il parrino…”.
Il “cugino” alla Coop – La frequenza con cui Messina Denaro frequentava casa dei Bonafede-Lanceri sembra scatenare la gelosia di un’altra componente della famiglia: Laura Bonafede, figlia dello storico capomafia di Campobello, cugina di Andrea, sposata con Salvatore Gentile, condannato all’ergastolo dal 1996. Dalle carte dell’indagine si scopre che il boss aveva una corrispondenza con la donna, che chiamava alternativamente “cugino” o “amico”. In un pizzino del 14 gennaio, due giorni prima dell’arresto, Messina Denaro risponde a un precedente messaggio di questo “cugino”. “Ci siamo visti da vicino ed anche parlati – scriveva– mi avrai trovato invecchiato e stanco a me ha fatto piacere vederti e parlarti, cercavo di tenere la situazione sotto controllo ma non ho visto niente di pericoloso, certo c’è da vedere cosa ha pensato l’affetta-formaggi, perché a te ti conosce e sa che tipo sei, a me mi conosce di vista come cliente ma non sa nulla, certo ora che mi ha visto parlare con te sarà incuriosito di sapere chi sono”. Chi è l’affetta formaggi? Un altro soprannome nato dalla fantasia del boss? Leggendo quel pizzino i carabinieri si ricordano che nel covo di Messina Denaro c’era uno scontrino del 14 gennaio della Coop di viale Risorgimento a Campobello. Acquisiscono dunque le immagini interne al negozio e vedono Messina Denaro davanti al banco dei salumi parlare con Laura Bonafede. Ecco dunque chi era il “cugino”: d’altra parte Messina Denaro usava l’identità di Andrea Bonafede, che è appunto cugino di Laura.
La gelosia per il padrino – Alla luce di questa scoperta gli investigatori rileggono tutta la corrispondenza del capomafia. E capiscono che Laura Bonafede andava ogni sabato pomeriggio alla Coop, con la speranza d’incontrare il boss. E quando non aveva notizie del padrino, malato di cancro, era inquieta: “Ho pensato che potevi essere andato a parlare allo Squallido. Insomma possono essere tanti motivi ma quello della romena e dello Squallido sono gli unici che mi balenano nella mente”. Lo “Squallido” è l’ospedale dove Messina Denaro era in cura dal tumore. In un altro messaggio, invece, Laura Bonafede confessa di infastidirsi quando vede “Margot“, cioè l’Alfa Romeo Giulietta del capomafia, sotto casa di “Tramite“, alias Lorena Lanceri: “Ho visto Margot stranamente non mi sono arrabbiato – scrive la donna parlando di sè al maschile – non sono andato su tutte le furie come di solito mi succede. Mi ha dato parecchio fastidio, questo non lo posso negare. Mi ha dato fastidio non sapere cosa stessi facendo in quel momento, non sapere se eravate soli, se ti saresti fermato ancora a lungo, se … se … se … potrei dire mille se. Dopo quello che ho detto quando vidi Margot di mattina, ho pensato che non l’avrei vista più in quella zona per evitare di farmi avere delle reazioni, perché non l’avevo più vista, e questa cosa mi faceva incavolare ancora di più. Ma oggi ho pensato: almeno non si nasconde da Blu. Contorto come pensiero? No, solo che preferisco sapere e non essere preso in giro”. Chi è Blu? È l’ennesimo nome in codice, sul quale stanno lavorando gli investigatori.
La soap opera di Campobello – I magistrati, invece, sostengono di aver identificato lo pseudonimo “Tan“: si tratta di Martina Gentile, detta Tania, figlia di Laura. Dalle carte emerge che il capomafia ha intrattenuto una corrispondenza anche con la giovane, che come la madre non risulta sotto inchiesta. Si tratta della stessa ragazza per cui Messina Denaro racconta di provare ammirazione in un pizzino indirizzato alle sue sorelle. Il boss raccontava di aver letto il necrologio che la nipote del mafioso Leonardo Bonafede aveva fatto dopo la morte del nonno. “Leonardo Bonafede era un amico di nostro padre, lo conoscevo pure io. È morto qualche anno fa. La Martina che si firma… è la nipote”, scriveva l’ultimo boss delle stragi, che raccontava di essersi informato sul conto ragazza: “È cresciuta con la madre, avranno avuto ‘incomprensioni‘ ovviamente, ma ha studiato, ha fatto il liceo scientifico, poi si è laureata in architettura credo, ed oggi lavora sfruttando la sua laurea. Fu sempre fidanzata con lo stesso ragazzo un paio di anni fa si è sposata con lo stesso, e la scorsa estate ha avuto una bambina”. Parole colme di ammirazione, che tradivano rabbia quando Messina Denaro paragonava la vita di Martina Gentile a quella di sua figlia, Lorenza Alagna: “Nessuno ha fatto la fine di Lorenza, sono tutte sistemate, che voglio dire? È l’ambiente in cui cresci che ti forma, e lei è cresciuta molo male…è solo Lorenza che è degerenata nell’infimo, le altre di cui so sono tutte cresciute onestamente“. Gelosie, incomprensioni, rapporti morbosi e quasi passionali, ammirazione per i figli di altre persone e insoddisfazione per i propri: sembra una trama di una soap opera come Beatiful. E invece era la vita quotidiana di Matteo Messina Denaro.